Morabeza, il nuovo disco di Tosca: un album ma anche un film

Tosca è una donna d'altri tempi. Lo è per come affronta l'arte del canto, della recitazione, e per come si pone nei confronti del mercato


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Non ricordo esattamente in che periodo degli anni Settanta la mia famiglia ospitò per qualche giorno una ragazza francese di nome Guendaline. Mia madre l’aveva incontrata che chiedeva informazioni per un ostello in centro, inconsapevole che il primo ostello sarebbe stato aperto in Ancona circa venti anni dopo, e il fatto che avesse con sé un violino indusse mia madre a offrirsi di venire a dormire da noi. Erano gli anni Settanta, badate bene, e l’essere invitata a dormire da una perfetta sconosciuta a casa propria non deve essere suonato a Guendaline così strano, perché accettò di buon grado. Il perché indusse mia madre a fare questo passo mi è tutt’ora ignoto, ma devo dire che non ho mai approfondito la cosa, volendo dare una lettura piuttosto banale e veloce alla cosa potrei pensare si trattasse di una sorta di immedesimazione nei passi della madre di Guendaline stessa, essendo mia sorella, di pochi anni più giovane di lei, a sua volta una musicista, studentessa di Oboe al Conservatorio Rossini di Pesaro. In realtà i miei non avrebbero mai permesso a mia sorella di andare in giro per l’Europa, così, senza una meta precisa, per cui l’immedesimazione sarebbe in tutti i casi finita lì, ma di fatto mentre me ne stavo a casa mia presumibilmente a giocare a Subbuteo mi vidi rientrare mia madre con questa ragazza coi capelli molto lunghi e lisci, l’ovale del viso piuttosto tondo, che rispondeva al nome di Guendaline. Era la prima volta che avevo a che fare con uno straniero, e succedeva a casa mia, fatto che, suppongo, manderebbe in tilt un Salvini qualsiasi. So che aver appena scritto una frase del genere, oggi, può suonare assurda, ma le cose stavano così. Nella seconda metà degli anni Settanta, cioè quando andò in scena questo siparietto, io non avevo mai avuto a che fare con uno straniero. Certo, mi era capitato di vedere qualche camionista greco in giro per le zone attigue al porto, che in Ancona si trova praticamente nel centro della città, ma i greci non so neanche se per noi anconetani fossero all’epoca da considerarsi stranieri, una faccia una razza. Altri stranieri non ce n’erano, a mia memoria. Sarebbero arrivati alla spicciolata negli anni successivi, penso ai cinesi che avrebbero aperto un paio di ristoranti e ai primi centroafricani che facevano i venditori ambulanti, quelli che all’epoca chiamavano “Vu cumprà”, ma di stranieri proprio non ce n’erano. Sarebbero arrivati molti anni dopo, quando ormai la mia città sarebbe stata un’altra, Milano, decisamente più incline a accoglierli. Del resto allora non è che pure noi si girasse il mondo. Neanche l’Europa, a dirla tutta. Le mie prime due esperienze all’estero, arrivate per altro a ridosso dei miei diciotto anni, sarebbero poi state un pellegrinaggio a Lourdes, come volontario, e uno a Medjugorie, e credo che non ci sia molto da aggiungere. Poi sarebbero arrivati quelli da turista, con l’Inter-rail, ma all’epoca l’Europa era assai lontana, lontanissima. Negli anni successivi avrei guardato con una ammirazione mista quasi a paura ai miei amici destinati a passare le vacanze per studio in Inghilterra, anche perché quando mio fratello c’era andato in gita era poi tornato con il gesso, dopo aver subito una operazione per essere finito sotto una macchina, è noto a tutti che lì guidano al contrario, a tutti tranne che a lui. Il destino mi avrebbe poi portato a viaggiare molto, per una decina d’anni attivo come reporter per testate quali Gente Viaggi o Viaggi e Sapori, ma questo mentre l’idea di spostarsi era diventata sempre più comune, e il mondo, per dirla con parole povere, un posto sempre più piccolo, a portata di click.

Partiamo proprio da qui.

Prendete l’idea di rete che vige oggi. Non è neanche necessario star qui a spiegare che sto parlando del web, ormai la rete è sicuramente più quella che la rete utilizzata dai pescatori, sempre che ne esistano ancora. Prendete l’idea di rete che vige oggi e provate a pensarne una versione fisica, fuori dal web. So di chiedere molto, ma in fondo un tempo tutto questo era il mondo reale, la normalità. La rete si è adeguata a quella, prima emulandola, poi influenzandola, infine sostituendola, per cui adesso si dice davvero che il mondo è più piccolo, e si pensa davvero che tutto sia a portata di un click. E quel davvero non è neanche forzato come il mio averlo inserito in quella frase potrebbe far pensare, perché in effetti il mondo è oggi questo, non possiamo negarlo, i rapporti che teniamo sui social, per dire, seppur tarati su differenti dinamiche, sono veri tanto quanto quelli che teniamo di persona, chi lo nega o non sta sui social o ha delle difficoltà con la contemporaneità.

Bene, in un momento storico in cui il mondo è tutto in uno smartphone, in cui si collabora senza essersi mai visti dal vivo, in cui è possibile, parlo di musica, duettare coi morti, e, ultima avanguardia, addirittura far cantare a artisti defunti canzoni che non hanno mai cantato, sta per succedere a Las Vegas, preparatevi, l’idea di mettersi in viaggio alla ricerca di suoni e canzoni appare come qualcosa di antico, fuori dal mondo, Ottocentesco. Un Grand Tour, oggi, non lo penserebbe nessuno, perché quel che c’è da sapere, quel che c’è da imparare, quel che c’è da conoscere possiamo saperlo, impararlo e conoscerlo da casa nostra, comodamente seduti sul divano.

Tosca è una donna d’altri tempi. Lo è per come affronta l’arte del canto, della recitazione, e lo è, forse ancora di più, per come ha deciso, lei dotata di un talento smisurato, di porsi nei confronti del sistema, del mercato. Questa è la premessa necessaria, ma non sufficiente, per affrontare un’opera come Morabeza, suo ultimo lavoro di studio, da poco dato alle stampe. Perché non bastasse questo suo muoversi aliena nel panorama musicale, va anche aggiunto che a quel talento e quell’attitudine, ripeto, requisiti necessari ma non sufficienti per decifrarne gli intenti, va aggiunta una quota di curiosità che difficilmente oggi trova eguali in Italia. Prova ne è, appunto, questo lavoro, dodici canzoni che sono al tempo stesso appunti di viaggio, capitelli su cui regge un tempio dedicato alla musica etnica e tradizionale, capitoli di un romanzo epistolare in cui Tosca, l’autrice, si rivolge la mondo, di cui è persamente innamorata. Perché, la smetto di girarci intorno, credo che l’idea di girovagare vi sia ormai piuttosto evidente in questa mia mimesi, Tosca ha deciso di mettersi fisicamente in viaggio per un mondo non a portata di click, lo ha fatto coi suoi favolosi musicisti, Giovanna Famulari e Massimo De Lorenzi, e lo ha fatto con al seguito la troupe della regista Emanuela Giordano. Ha toccato quei posti le cui corde erano per attitudine e natura più vicine alle sue, seppur distanti, dal Portogallo al Brasile, passando per quella Capoverde che al disco ha donato il titolo, Morabeza, parola che indica una Saudade meno identificabile con la tristezza per noi italiani, passando per la Tunisia, e ha incontrato artisti che con lei condividono un comune sentire, oltre che un comune cantare, da Arnaldo Antunes a Ivan Lins, passando per Luisa Sobral, Lenine, Lotfi Bouchnak, Awa Ly e Vincet Segal, il tutto sotto la dediziosa cura di Joe Barbieri, qui nei panno dei produttore oltre che dell’adattatore di testi. Ogni canzone è una istantanea, ma di quelle che dovrebbero finire esposte in un museo, se solo i musei non fossero percepiti ancora da noi come luoghi morti e polverosi invece che per le fucine di input e scintille che in realtà sono. Un viaggio per il mondo che è quindi anche un viaggio nel mondo canzone, con brani inediti come quello che Cesar Mendez e Arnaldo Antunes hanno scritto come dono per Joao Gilberto e che Tosca ha cantato con lo stesso Antunes, o come La Bocca sul Cuore, dello stesso Mendez con Joe Barbieri e Un Giorno in Più, di e con Luisa Sobral, già presente anche con quel gioiello di Per Ogni Giorno che Verrà, tradotta dal solito Joe e con la quale suo fratello vinse l’Eurovision, rivisitazioni strepitose, queste, come anche Giuramento, in origine Rosa di Pixinguinha o Ahwak, sorta di evergreen arabo che attesta, ce ne fosse bisogno, come Tosca può davvero cantare tutto come una naturalezza quasi imbarazzante.

Un album, Morabeza, che è quindi anche un film, Il Suono della Voce, un documentario che racconta del suo viaggiare cercando canzoni, cercando storie, cercando un modo per salvare la musica, anche se lei non lo direbbe mai in maniera altrettanto schietta. Un film presentato da poco alla Festa del Cinema di Roma e che andrebbe proiettato nelle scuole. No, non solo nelle scuole di musica, ma anche alle elementari, alle medie, alle superiori, per far capire come la cultura non sia solo quella che si trova dentro i libri, anche se senza quella cultura probabilmente Tosca neanche sarebbe uscita di casa, ma pure quella conservata nelle canzoni, volendo anche nelle canzonette. Perché è curando la musica, cercando di preservarla dall’appiattimento imperante, tentando a ogni piè sospinto di opporre resistenza al brutto praticando la bellezza, fermandosi a guardarla, innaffiando la sua pianta con quella cura che si riserva, in genere, a chi ha rapito il nostro cuore, è curando la musica che possiamo ambire a non lasciarci imbarbarire, lobotomizzare, annichilire. Tosca lo sa, e per non finire nel mirino si muove a zig zag, lei che dirige L’Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini a Roma, oasi di cultura che la Regione Lazio ha messo a disposizione di giovani e validi artisti, lei che da anni si muove a teatro con una dedizione pari a quella che presta alla musica, lei che preferisce lavorare anni a un album alto, colto, ma al tempo stesso facile, leggero, invece che inseguire stupide mode effimere, destinate, ci si augura, a non lasciare traccia. Ascoltatevi Giuramento e provate a non rimanerne incantati. O ascoltate La Bocca sul Cuore senza commuovervi, se ci riuscite. Sentite la sua voce mischiarsi a quella di Lenine o a quella di Luisa Sobral e rimanete inerti, se ce la fate. Se ascoltare Morabeza non vi induce a guardare al futuro con un po’ di speranza non è certo Tosca a aver fallito la sua missione, siete voi a essere morti senza neanche esservene accorti.