Dentro Sagittarius A* degli Sleepwait, la spirale per cui vale la pena smarrirsi (recensione)

La loro opera prima offre la matematica dei Tool, l'incudine dei Mastodon e il sentimento degli Alice In Chains


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Se dovessimo esplodere l’intera mappatura di influenze presenti all’interno di Sagittarius A* degli Sleepwait dovremmo scomodare le più interessanti realtà alternative degli ultimi 30 anni. Un album d’esordio è spesso maldestro, composto e scritto in fretta e buttato in rete per via dell’hype che gli artisti emergenti vivono per vedere il loro prodotto finito e ascoltare i pareri del popolo del web. Questo duo che lavora in remoto, invece, ha impiegato ben 4 anni per scrivere, arrangiare, mixare, masterizzare e confezionare 12 tracce e affacciarsi al mondo nell’estate di un anno in cui sul pianeta Terra sono ritornati i grandi nomi del metal.

Quella degli Sleepwait è la storia singolare di Filippo BraviMauro Chiulli. Il primo, voce e paroliere del progetto, è un biologo evoluzionista; il secondo, polistrumentista, è un ingegnere meccanico. Il primo canta e scrive da Udine, il secondo suona, mixa e masterizza da Bologna, e nel 2015 inizia la loro storia: i due si conoscono grazie ad un annuncio web e fanno partire il loro progetto. In 4 anni mettono su tutti i pezzi a distanza, per poi assemblarli e rifinirli durante l’estate 2019, fino alla pubblicazione ufficiale del 23 agosto.

Cos’è, dunque, Sagittarius A* degli Sleepwait? Il loro nome si ispira al più grande buco nero della Via Lattea e la loro musica si ispira agli algoritmi ritmici dei Tool, all’intensità sepolcrale degli A Perfect Circle, alle intuizioni melodiche degli Alice In Chains e al muro chitarristico dei Mastodon. Arriva nel 2019, Sagittarius A*, e si fa timidamente spazio in un contesto eccellente in cui abbiamo visto ritornare i Rammstein, gli Slipknot, i Korn e i Tool.

La voce di Filippo articola e diluisce le nasali come fa Maynard James Keenan, crea dei cori come accade(va) negli Alice In Chains e sussurra piano come un rettile pronto a infestare la quotidianità, scomodando anche la leggerezza spirituale di Joel Ekelöf dei Soen. Mauro, divoratore di ritmiche e strutture, si muove tra arrangiamenti che sono sì vicini alla band losangelina dei tempi di Lateralus ma anche anche di Fear Inoculum – Sagittarius A* è uscito 7 giorni prima, ma gli Sleepwait respirano la stessa linfa – e riesce a proporre soluzioni matematiche che vogliono dire bellezza, e prima di lui ci erano riusciti solo gli svizzeri Prisma dall’album You Name It (2012).

Dal momento in cui siamo dentro Sagittarius A* degli Sleepwait possiamo stare sicuri che sarà un viaggio comodo ed equilibrato. La tracklist si apre con The Left Hand Of Beauty Part I, primo capitolo di una suite, una finestra che si apre in acustico. Il metallo delle corde è un rintocco di campana, un’apertura timida e minacciosa che ci prepara alla seconda parte, quando le chitarre in muting ci fanno spostare l’attenzione verso dinamiche decisamente progressive e audaci. Tom, bassi venosi e architetture inquiete ci introducono al mondo degli Sleepwait, spirali che ci rincorrono e ci imprigionano.

La title-track è quanto ci è rimasto nel cuore e nella spina dorsale dopo aver scoperto Mer De Noms degli A Perfect Circle. 5/4 che si muovono sinuosi, con Filippo che si tiene su note basse per ucciderci lentamente, fino ad esplodere tra le ritmiche elicoidali di Mauro e diventare un 6/8 ossessivo, un cerchio di immagini astratte e fuochi fatui che apparentemente si spengono verso l’arpeggio finale, ma è un inganno: tutto torna rumoroso e singhiozzante.

Virgilio è il tragitto necessario tra le anime dell’inferno, un trip in 6/8 tormentato e disturbante, un girotondo dopo il quale ancora non rivediamo le stelle, perché la strumentale Anatolya è un ritorno ai rintocchi delle chitarre acustiche della prima traccia. I tom scandiscono il tempo, ma siamo dentro il cerchio e i trapassati non mollano la presa. Arriva Istanbul, come un ceffone, con le sue chitarre alla Mastodon per quanto Filippo tenti di lubrificare il dolore muovendosi su scale maggiori nella strofa.

The Prayer ridisegna il cameo di James Brown nel film The Blues Brothers“When I woke up this morning I heard a disturbing sound”, e la tonalità cimiteriale delle chitarre si spalanca verso il buio. The Prayer è il secondo pezzo strumentale del disco, una cavalcata lenta e ctonia, un’incudine che si schianta a tempi regolari sul nostro cranio senza spargimenti di sangue.

The Doubt è quanto rimane dopo Ænima dei Tool: violenza, sentimento e viscere. Cassa e basso convolano a nozze con sensualità, uno studio che si percepisce da tutte le dinamiche presenti nel disco. The Great D., che di bellezza è portavoce assoluta dell’album, potrebbe essere la sorella minore di 7empest (Fear Inoculum) e Would? (Dirt), ma con questa sorta di ballata acida gli Sleepwait sbottonano tutto il loro sentimento: il dolore nella struttura principale, la rabbia nello special e una porta che si chiude violentemente alle spalle in chiusura.

White Noise è l’interludio inquieto che mancava, ma che sapevamo di trovare. Filippo canta tra rullate fuori tempo e anarchia ritmica, fino alla tribalità dei tom che ci introduce a Constellation. Riff concentrici come i cerchi perfetti che tutto Sagittarius A* offre, diventano un confusionario battere del rullante dopo la prima metà del brano, una prigione sonora dentro la quale picchiamo i pugni con forza, sepolti nella spirale che si fa sempre più vicina e promette di inghiottirci.

No. Non lo farà. The Right Hand Of Beauty ci offre la via di fuga. Si ritorna alla calma apparente dell’opening track con acustiche profonde che riprendono lo stesso tema, con qualche pulsazione percussiva verso il finale che chiude il disco con una parentesi che rimane aperta.

Sagittarius A* degli Sleepwait termina con il desiderio di riascoltarlo, un senso di vuoto che la band sa come inoculare e che possiamo colmare solamente ricominciando dalla prima traccia, per smarrirci nuovamente e per scoprire il piacere di non avere via d’uscita: siamo dentro il loro mondo e questo ci divorerà, e noi ci offriremo come pasto sacrificale.