Anima Latina di Lucio Battisti è qualcosa che dovremmo ascoltare tutti, almeno una volta

Un concept album che esplorava la psichedelia e il progressive rock, un esempio per l'indie contemporaneo


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Lo ammetto: quando Amazon Music mi ha notificato l’arrivo dell’intera discografia sul catalogo, Anima Latina di Lucio Battisti è stato il primo album per il quale ho premuto “play”. Comodo, freddo ma comodo, perché tutti sappiamo che il fruscio del vinile resta sempre il fruscio del vinile. Sostanzialmente, come accadde per il disco pubblicato nel 1974 sul quale anche oggi intendo riflettere, stiamo parlando dell’ennesima rivoluzione: tutte le produzioni di Battisti sono arrivate sui servizi di streaming dopo una lunga battaglia legale.

Dopo i Beatles, i Led Zeppelin e i Tool, dal 29 settembre – scelta audace – il cantante di Poggio Bustone vive ancora nei nostri dispositivi, una magia che ormai diventa scontata da quando esistono Spotify e derivati, e lasciarsi tormentare le orecchie da uno dei dischi più belli della musica italiana senza ricorrere ai caricamenti pirata presenti su YouTube significa fare pace coi sensi. Era il 1974 e la coppia Battisti-Mogol lanciava sul mercato l’opera di rottura, un capitolo che tutti gli artisti prima o poi si ritroveranno a scrivere e che rappresenta, nella maggior parte dei casi, il punto più alto della loro discografia.

Anima Latina di Lucio Battisti è lo spirito ripreso dagli artisti dell’indie degli ultimi 20 anni, e si sente eccome. I Verdena, Dente, Iosonouncane e tanti altri non hanno mai nascosto l’attestazione di devozione verso questo album che dignitosamente si colloca tra le pietre miliari del rock. Battisti e Mogol erano di ritorno da un viaggio in Argentina e Brasile e c’era un gran lavoro da fare per scrollarsi di dosso il ruolo di “autori di canzonette” che spesso la critica contestava, dopo opere come Il Mio Canto Libero (1972)Il Nostro Caro Angelo (1973), forti di successi come le monumentali La Collina Dei CiliegiIo Vorrei… Non Vorrei… Ma Se Vuoi, ma Lucio Battisti da tempo lamentava esigenze disattese per via del suo spirito innovatore che, qualche anno dopo, lo avrebbe portato a separare la sua strada da quella di Mogol.

Per ascoltare Anima Latina di Lucio Battisti si deve immaginare una distesa bucolica, una realtà in cui un gruppo di persone si muove a rallentatore in completa asincronia con le ritmiche contenute nel disco, che è un manifesto della libertà artistica più totale e più intima che chi conosceva già l’artista, in quegli anni, di certo non si aspettava. Innamorarsi con le sue canzoni, in questa parentesi, non era più possibile: il pubblico doveva interfacciarsi con un disco disordinato e visionario, dove le parole facevano all’amore con una spiritualità del tutto inedita.

Sesso, libertà e curiosità verso l’io dell’altro sono al centro di Anima Latina, che si disegna in cerchi concentrici e strutture caleidoscopiche che ci investono a partire da Abbracciala Abbracciali Abbracciati, un vero e proprio trip sonoro fatto di riverberi, accordi di settima+ e sintetizzatori. L’idea è quella di trovarsi in una sala prove nella quale i musicisti si divertono in una jam session senza fine, dove prende vita un sincretismo tra il folk sudamericano più deliberato, il pop più ricercato ma soprattutto il progressive rock che aveva tracciato una cortina di ferro tra la rivoluzione musicale del Belpaese di quegli anni e il mainstream italiano fatto di cuori e serenate che ancora non abbandonavano la collettività del dopoguerra.

Sì, perché Anima Latina di Lucio Battisti è progressive rock nel suo stato di grazia, e questo lo si deve a ogni singolo brano che si presenta come una suite, dal più breve al più duraturo. Tutto, in questo disco, è onirico: lo dimostra Due Mondi, un corteggiamento tra Battisti e Maria Cubeddu dei Flora Fauna Cemento che si apre ai confini dello spazio, con pacatezza, per poi liberarsi in un tripudio di chitarre acustiche frenetiche e latineggianti scandite da un rullante continuo che diventa un martello prima e un battito cardiaco poi, fino a quando i suoni si fanno sempre più ossessivi e festanti.

Anonimo, Gli Uomini Celesti e Anima Latina sono il miocardio del disco, con la prima che si chiude a sorpresa con una parodia che l’artista fa di se stesso: il brano scivola con la melodia de I Giardini Di Marzo eseguita da una banda di fiati, una catarsi che dissacra tutto il miele con il quale Battisti si era cosparso fino a quel giorno. La voce è alterata da un chorus oltremodo pronunciato e presente, e pur non essendo consuetudine di quegli anni, molto spesso il suo volume è tenuto più in basso rispetto agli strumenti, quasi a voler tenere un certo alone di mistero nell’atmosfera.

Un mistero, del resto, che fluttuava anche tra i partecipanti alle registrazioni: Anima Latina è il disco del mistero di Gneo Pompeo, un nome che veniva attribuito ai sintetizzatori, uno pseudonimo che spesso veniva associato a Gian Piero Reverberi che collaborò con Battisti ma che dichiarò di essersi allontanato dal cantante nel 1973. Nonostante la sua dichiarazione, vi era chi giurava di averlo visto muoversi all’interno dello studio, qualche volta, durante le fasi di registrazione del disco, anche se Vince Tempera fece il nome di Gabriele Lorenzi che tuttavia negò di aver fatto parte del progetto.

Titoli ermetici, simbolici e futuristici come Il Salame, – nella quale la voce si mette al servizio di pitch e harmonizer – La Nuova AmericaMacchina Del Tempo completano il quadro. Il risultato è un concept, un rosario di pensieri, parole, opere e omissioni sulla vita di coppia che si spostano dagli sguardi ammiccanti all’atto sessuale più libero e selvaggio. Con Separazione Naturale scendiamo dall’astronave e a malincuore riconquistiamo il nostro suolo.

Nessuno, ancora oggi, giurerebbe di aspettarsi una tale opera da parte del duo Battisti-Mogol: Anima Latina è il punto più alto della loro produzione, perché in 11 brani la coppia dimostrò di essere perfettamente in grado di creare canzoni lontane dai canoni “strofa-ritornello-strofa-special-ritornello” e di dare una lezione – o un punto di partenza – a tutte le generazioni future. Se nel 1974 qualcuno cercava il rock, in questo disco trovava la sua quintessenza alla pari di chi si era già fatto le ossa con gli Area o i Biglietto per l’Inferno; allo stesso modo, con questo disco il duo più celebre in Italia dimostrava di potersi allineare dignitosamente con i cantautori che in quel tempo cantavano e firmavano la rivoluzione.