Recensione del primo EP di Maryam Tancredi, un pop che si inchina al classico

La cantautrice partenopea supera la prima prova in studio, grazie a una voce capace di emozionare e proteggere


INTERAZIONI: 676

La vincitrice di “The Voice of Italy 2018” giunge finalmente alla sua prima prova in studio: il primo EP di Maryam Tancredi, chiamato semplicemente “Maryam” esce oggi, 31 maggio, e ci presenta tre inediti e tre cover. La giovane cantautrice napoletana ha scelto di chiamare col proprio nome il suo primo lavoro discografico proprio per farci capire che, in tutte le tracce, è presente ogni sua singola sfaccettatura.

Prodotto da Nicolò Fragile (lo stesso di Eros Ramazzotti, Renato Zero, Mina, Adriano Celentano e tanti altri), l’EP di Maryam Tancredi è il volto più sincero e diretto dell’artista, che ha scelto la musica come compagna di vita. Lo dice e lo ricorda con fierezza, se pensiamo che sbarcò a “Ti lascio una canzone” nel 2011 e conquistò pubblico e giudici di “The Voice” l’anno scorso. Oggi, Maryam, ha realizzato il suo sogno di incidere un disco e lavorare con persone in grado di comprendere la sua anima, ed è entusiasta.

La voce di Maryam sa spostarsi da un registro più soft a un acuto viscerale, ma senza sforzare alcun tessuto: la sua è una dote naturale, e non per caso il suo bel canto è stato in grado di scalare la vetta del talent show. Lo capiamo da Una buona idea, il brano che apre il disco e che rende omaggio a Grenade di Bruno Mars nell’arrangiamento. Con un timbro che possiamo definire degno di una Elisa Toffoli degli esordi, Maryam canta l’immobilità di un amore giunto a una fase di stallo, dove la paura di cambiare direzione diventa la tomba della felicità.

Il cuore di Maryam è controvento, è ferito eppure funziona, perché sceglie di stare accanto a un lui che si fa sempre più sbiadito e demotivato. Pianeti è uno spaccato sulla generazione che oggi si affaccia alle responsabilità e al dovere. Ciò che Maryam vede sopra la sua testa è un insieme di nuvole che filtrano il sole e ne impediscono la luce. L’elettronica dell’arrangiamento crea tensione, il tappeto sonoro che lima la lirica pungente di un brano in cui i pianeti sono le persone che oggi, più che mai, rischiano l’oblio dal primo segno di resa.

La migliore prova dell’album, possiamo dirlo, è Con te dovunque al mondo, un brano “disturbato” dalla sincerità di un synth che disegna sinusoidi nell’intro. Il canto di Maryam arriva con eleganza e si sposta su scale nu-jazz, con tracce sovraincise che colorano di black l’atmosfera della strofa. Il cuore ferito di Una buona idea era solamente sotto anestesia e gli occhi, finalmente, si riaprono. È il tempo di guardare al domani e voltare pagina per sempre, anche se fa strano che succeda proprio a quel “noi” che un tempo era una promessa.

La cura di Franco Battiato, una delle canzoni d’amore più riuscite del Novecento, è la prima cover dell’EP di Maryam Tancredi. Solfeggi vocali, un pianoforte e un pad aprono questa versione inedita, e Maryam canta con raccoglimento ed emozione. Ciò che distanzia il tributo di Maryam dall’originale è il carico di drammaticità, qui reso più evidente da un numero inferiore di bpm e dalle dinamiche ammorbidite.

Le abilità nella modulazione e nell’intonazione si fanno sentire anche in Killing me softly di Charles Fox e Norman Gimbel, riportata all’attenzione di massa dai Fugess negli anni ’90. Maryam si muove tra gola e petto, e si rende degna di questa interpretazione che, decisamente, non è nelle corde di tutti. Le note si fanno più alte sul finale, e la prova è superata. L’EP di Myriam Tancredi si chiude in bellezza: Ho difeso il mio amore è un brano storico, una riscrittura dall’originale Nights in white Satin dei Moody Blues targata 1967 e riscritta da Daniele Pace. Il brano divenne famoso in Italia grazie alle interpretazioni di Dalida (Un po’ d’amore) e dei Nomadi.

Un brano epico, storico e teatrale, qui interpretato con dignità. L’EP di Maryam Tancredi ci fa capire che questa ragazza sa cantare e interpretare, che sa spostarsi dal pop al soul e che sa scrivere il suo tempo con tutta la sensibilità di cui solo chi vive d’arte può disporre.