Il mio gioco preferito di Nek è la prima parte del percorso intimista di un eterno ragazzo (recensione)

Filippo Neviani ci racconta quanto sarebbe bello un mondo dominato dalla musica


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Ne “Il mio gioco preferito” di Nek scopriamo che Filippo Neviani, quel ragazzone con gli occhi chiari e la voce energica, è ancora a bordo campo con un nodo in gola ad osservare il match della nostra esistenza. Lo dice nella title-track, lo dice nei suoni e nell’empatia che è propria di pochi validi artisti. Troviamo novità e sperimentazione, in queste sette tracce che compongono la prima parte di un progetto che troverà conclusione in autunno.

“Il mio gioco preferito” di Nek, infatti, è un ritorno alla strumentazione classica dopo l’elettropop di “Unici” (2016), e quando Mi farò trovare pronto è arrivata a Sanremo avevamo già capito che qualcosa di nuovo era in arrivo. Intuizioni che Nek ha confermato a OM, e ha giustificato le sue scelte parlandoci di una risposta alla velocità di cui oggi, la fruizione della musica, si macchia spesso. È vero: siamo frenetici come se dovessimo scendere o salire sulla metropolitana, troppo distratti dalle cuffie che ci bombardano le orecchie e dagli occhi che scrutano lo smartphone anche quando stiamo per baciare un palo.

Filippo, tra noi e quel palo, mette un cuscino. Ci invita alla calma e all’attesa, due vocaboli di cui ormai ignoriamo il significato. Ecco, quindi, che arriva questa prima parte per venire incontro al nostro bisogno di divorare qualcosa, ma con moderazione. Prodotto da Luca Chiaravalli e Gianluigi Fazio, “Il mio gioco preferito” di Nek raccoglie brani radiofonici e pieni di groove come Alza la radio e la title-track, ma non manca la riflessione in ballata che troviamo in Cosa ci ha fatto l’amore. Non manca, inoltre, la versione di Mi farò trovare pronto presentata a Sanremo con Neri Marcorè.

Celebrativa e incoraggiante, La storia del mondo apre le danze con le parole sagge di un uomo che trova il momento giusto per ricordarci quanto sia bella l’esistenza: «Musicisti e ladri d’amore, prigionieri, studenti e signore, è tutto per noi, guardandoci a fondo siamo la storia del mondo». Le chitarre, dolcemente, disegnano riff che non emergono ma che non restano soffocati dagli altri strumenti, e il riverbero su ogni parte strumentale ci ricorda gli U2 più gloriosi. L’energica Mi farò trovare pronto, brano sanremese, si conferma tra i pezzi più forti de “Il mio gioco preferito” di Nek. Filippo si è lasciato ispirare da due realtà: la prima arriva dalla poesia È l’amore di Jorge Luis Borges, la seconda nasce da un suo viaggio lungo le favelas brasiliane, nelle quali ha scoperto quante cose può fare l’amore.

Su un ritmo incisivo fatto di percussioni e riff martellanti, Nek canta il potere ineguagliabile dell’amore: «Libri di milioni di parole, ce ne fosse almeno una per essere all’altezza dell’amore», e la carica emotiva non si interrompe nemmeno con Alza la radio. Filippo immagina una lei nella routine quotidiana, ora in mezzo al traffico e ora in un momento di pausa, intenta a rompere la monotonia mentre si trova sintonizzata sulla sua canzone preferita: «Sei sempre così di fretta, la strada sembra un binario, ho scritto questa canzone, la senti alla radio, è per te». Non è un caso, infine, se Alza la radio si appoggia su un arrangiamento che guarda con sottile nostalgia al pop anni ’80, oltremodo ricorrente nelle produzioni contemporanee e facilmente fruibile nei luoghi pubblici.

Cosa ci ha fatto l’amore è l’unica ballad di questa prima parte del disco di Nek. Arpeggi, pad e percussioni sommesse ci raccontano quel pericoloso momento di rottura che travolge tutte le relazioni, quando i due amanti si guardano negli occhi circondati da tutto ciò che un tempo significava condivisione. Tuttavia, Filippo fa un tentativo: «D’amore non si muore, sai? Si muore senza» e affonda: «Guarda che casino, ma sarà bellissimo». Con Il mio gioco preferito, title-track di questo nuovo progetto, ci fa tornare il sorriso. Groove, funk e accenti sincopati da ascoltare ad occhi chiusi in mezzo al parco. Filippo ricorda quelle volte in cui la sua chitarra elettrica rischiava di diventare un lontano ricordo una volta arrivata l’età adulta, ma lui è ancora qui e gioca ancora.

Lo ska ai limiti del brit-pop e del beat di Musica sotto le bombe è il momento più curioso del disco. Possiamo parlare dei Blur, dei Madness o semplicemente dei Clash, perché quelle chitarre in levare puntate sotto un testo che parla di bombe sono proprie del combat-rock. Filippo ci porta lungo le strade devastate dalla guerra e cerca la musica e l’amore tra le macerie. Ci aiuta a sognare un grande concerto che porti la pace: «Da Kabul a New York ci somigliamo un bel po’, e poi magari qualcuno ci sente, c’è ancora musica che suona sotto le bombe». La metafora è quella finestra ancora accesa nel mezzo della notte, quei ragazzi che fanno l’amore tra i copertoni incendiati e sulla terra assetata.

Il featuring con Neri Marcorè in Mi farò trovare pronto chiude questo primo ciclo. L’attore recita una poesia di Filippo Davoli durante un interludio, accompagnato dalle note celestiali di un pianoforte. Un’ultima carezza prima di un “arrivederci” ci tiene in sospeso, e non ci resta che attendere il prossimo step o riascoltare.

Questo è il nuovo Filippo, quello che ha esplorato il mondo e l’elettronica, e ora è tornato a casa. Il suo pop è meno rockettaro e più ritmato, perché le canzoni di un artista maturano con lui e lui matura con il mondo. Avremo modo di scoprirlo in estate, quando con il tour farà tappa anche all’Arena di Verona il 22 settembre. “Il mio gioco preferito” di Nek racconta l’esistenza e tutte le sue difficoltà, ma è una feritoia su quanto bello sia il quotidiano o quanto meraviglioso potrebbe essere il mondo se fosse dominato dalla musica e non dall’odio.