Bentornato Presidente, Claudio Bisio deve salvare un’altra volta l’Italia (recensione)

Ritorna Giuseppe Garibaldi, prima presidente della Repubblica e adesso premier. I registi Fontana e Stasi raccontano la politica 2.0 dei nostri tempi. Ma i personaggi sono la fotocopia dei Di Maio e Salvini reali. E il film finisce per rincorrere la cronaca invece di anticiparla.

Bentornato Presidente

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Bentornato Presidente segue a sei anni di distanza Benvenuto Presidente! (2013), che raccontava l’Italia della casta e della voglia di anticasta, incarnata dall’uomo qualunque Giuseppe Garibaldi (Claudio Bisio) che arrivava al Quirinale rompendo gli schemi e le uova nel paniere dei politicanti corrotti.

Oggi però l’anticasta, o presunta tale, non solo è in parlamento, ma direttamente al governo. Ma dato che i leader dei due partiti di maggioranza relativa, il ruvido Teodoro Guerriero (Paolo Calabresi) di “Precedenza Italia” e l’imberbe Danilo Stella (Guglielmo Poggi) di “Movimento Candidi” non trovano un accordo, c’è bisogno dell’uomo di paglia da manovrare. Ancora una volta la scelta cade su Garibaldi, che s’era ritirato tra le amate montagne, ma poiché la moglie (Sarah Felberbaum) l’ha lasciato per andare a lavorare al Quirinale, lui per riconquistarla è disposto a tutto. Pure a fare da testa di legno a una squadra d’impresentabili.

Firmato da Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi, Bentornato Presidente torna sul luogo del delitto, non resistendo alla tentazione di dare un seguito a un primo episodio indovinato, anche per la capacità di Bisio d’indossare con naturalezza i panni dell’uomo della strada trascinato in un gioco più grande di lui. Che però, come un personaggio di Frank Capra, è dotato delle qualità umane, morali e di buon senso che gli consentono di schivare le trappole architettate dai professionisti della politica.

E stringi stringi pure questi nuovi, facciata a parte, sono professionisti della politica. Il loro ritratto servito dallo sceneggiatore Fabio Bonifacci è scopertamente esemplato su Lega e Movimento 5 stelle, cui si aggiunge, ed è una delle trovate più divertenti, il partito di opposizione “Sovranità Democratica” (leggi Pd) – il leader ha il tragico nome di Vincenzo Maceria (leggi Renzi) – il cui stato maggiore, a cento giorni dal voto, sta ancora a discutere spaccando il capello di nomi, sottocorrenti e cose di cui non importa niente a nessuno.

Qualità e limiti di Bentornato Presidente sono tutti qui: un racconto cinematografico che non riesce a sollevarsi dalla cronaca, impantanandosi in una sorta di fotocopia del reale. Che quando risulta divertente è perché, ahimè, fanno ridere (e rabbrividire) i personaggi e il contesto di partenza, di cui il film estremizza appena un po’ le dinamiche.

Il compito con cui si misura oggi la commedia italiana è oggettivamente complesso. Non è facile trovare una chiave per raccontare in presa diretta dei tempi che si muovono velocissimi, con un tale ricambio di nomi, dinamiche e linguaggi, da rendere improba l’impresa di farne un’istantanea che possegga il pregio dell’originalità e dell’affondo satirico, senza però ridursi a una macchietta e senza invecchiare immediatamente. Fontana e Stasi di loro ci mettono una regia fluida, attenta a movimenti di macchina, raccordi di montaggio, uno stile insomma non elementare, che avevano già sperimentato, sulle stesse corde, nel divertente corto Italstellar.

Ma è appena una patina che rinfresca un ritratto sotto cui pulsa un quotidiano di cui Bentornato Presidente finisce per risultare una pallida imitazione. E stavolta il personaggio di Bisio, a sua volta diventato un po’ professionista della politica dopo l’esperienza al Quirinale, risulta meno distante da quel mondo di cui conosce facce, vecchie volpi, cerimoniali e minuetti. Intendiamoci, è ancora disposto a saltare l’ostacolo e provare a cambiare l’Italia, come dice lui, “a istinto”. Però dato che l’esperienza se l’è fatta, e sapendo come sono i suoi concittadini, che vogliono la botte piena, la moglie ubriaca e, soprattutto, non intendono pagare le tasse, la rivolge direttamente agli italiani la domanda ferale su cosa siano disposti a fare per il bene del Paese. Ma sia lui che noi sappiamo che si tratta di una domanda retorica. Della quale nessuno ha intenzione di sentire la sconfortante risposta.