Cosa salvare dal mezzo disastro di Love, Death & Robots su Netflix: la serie animata di Fincher ha più d’un problema

Grandi nomi, animazioni avveniristiche ed episodi brevissimi balzano subito all’occhio, ma i dubbi sulla qualità del prodotto restano.


INTERAZIONI: 60

A cinque giorni dall’uscita di Love, Death & Robots su Netflix, abbiamo una buona e una cattiva notizia. Quella buona è che siamo così addentro nell’epoca della peak TV che i pezzi grossi della più grande piattaforma streaming hanno accettato di buon grado le incognite di un esperimento folle come questo. Quella cattiva, invece, è che ogni enorme, grandiosa finezza non è sufficiente a coprire i difetti strutturali di un progetto così ambizioso maturato in più di dieci anni. Non perdiamoci in spoiler, adesso, ma proviamo a vedere un po’ meglio cosa salvare dal mezzo disastro di Love, Death & Robots.

Cosa funziona in Love, Death & Robots

Trattandosi di una serie antologica non possiamo limitarci a considerare il tutto in quanto somma delle sue parti. Ogni episodio porta su di sé il peso di scelte e accorgenti più o meno azzeccati e dai quali dipende il risultato finale. Pensiamo ad Alternative storiche, il corto che pone una questione trita e ritrita – cosa sarebbe successo se Hitler non fosse morto? – su un piano diverso dal solito, spingendosi un po’ più in là. In una manciata di minuti, l’app Multiversity sottopone alla nostra attenzione sei scenari alternativi alla morte reale di Hitler, nei quali lo stesso dittatore va incontro al suo ineluttabile destino in un susseguirsi di imprevedibili e ridicole sfighe cosmiche. Bastano sette minuti per raggiungere vette inesplorate di follia? Assolutamente sì, ma le risate alle quali non possiamo che abbandonarci lasciano comunque filtrare un messaggio inquietante: qualsiasi piega prenda la storia, noi umani siamo fregati. Terribilmente. E questo è quanto.

Il dominio dello yogurt, invece, ci spinge a elaborare un neologismo che riesca a definire adeguatamente l’episodio. Strano, assurdo, stupido, strampalato e folle si avvicinano all’obiettivo, ma non abbastanza. Potessimo prendere un po’ di ciascuno, allora sì, avremmo una definizione davvero calzante. Ma se ci aggrappiamo alla sospensione dell’incredulità possiamo goderci altri sei minuti di estasi in un mondo animato, in cui dei fermenti lattici modificati danno vita a uno yogurt senziente che contratta il dominio dell’Ohio e della Terra. Di nuovo, la domanda di fondo è molto chiara: è possibile che delle specie aliene dominino il nostro pianeta? La risposta, com’è ovvio, è sì. Molto meno prevedibile è lo scenario suggerito alla fine dell’episodio…

A questo punto è evidente che una delle premesse più felici di Love, Death & Robots è la libertà assoluta che Netflix ha concesso per sviluppare la serie. E al di là della resa dei singoli episodi, è confortante sapere che attraversiamo una fase in cui delle menti creative e brillanti hanno la possibilità di creare progetti innovativi che non richiedono una classificazione tradizionale. David Fincher e Tim Miller non sono certo gli ultimi arrivati, anzi è proprio la forza dei loro nomi ad aver sostenuto il peso di un esperimento che Netflix ha accettato fin da subito a scatola chiusa. Insomma, niente male come attestato di stima.

Cos’è andato storto in Love, Death & Robots?

Che il giudizio su Love, Death & Robots non fosse così semplice l’avevamo detto subito. Potremmo parlare del formato, ad esempio. In alcuni casi la durata media di 12 minuti lascia l’amaro in bocca per le possibilità inesplorate di un episodio, per quei brevissimi lampi d’interesse che percepiamo verso personaggi o situazioni e che per forza di cose muoiono sul nascere. In altri, invece, la narrazione che dovrebbe reggere il grandioso impianto dell’animazione è talmente fragile da causare crolli clamorosi nel bel mezzo della storia. Sono esempi lampanti di cosa dire sacrificati in nome del come dirlo. Un peccato.

Il cosa dire è un altro grosso problema di Love, Death & Robots. Comprimere percorsi narrativi densi ed elaborati in archi temporali così ristretti non è semplice, certo, ma in questo caso più che difficile è impossibile, perché le trame non esistono. Sono accenni di per sé vaghi, ulteriormente oscurati da effetti visivi allo stesso tempo esuberanti e inconsistenti. Un peccato anche questo.

Gli aspetti tecnici, per quanto problematici, passano comunque in secondo piano quando a sollevare dubbi monumentali sono dei messaggi negativi veicolati con tanta forza. Nella stessa peak TV che permette a prodotti del genere di vedere la luce, la rappresentazione femminile ha fatto un passo in avanti e ha ampliato il proprio raggio d’azione per includere storie, voci ed esperienze finora taciute. Quindi sconvolge doversi scontrare con un punto di vista così bieco e sessista proprio in una serie che ha nel DNA il superamento di dinamiche tradizionali.

In Love, Death & Robots le donne sono soggiogate a uno stato di violenza sessualizzata, vittime impotenti trasposte sullo schermo come facile fuga per la fantasia misogina di un adolescente disagiato. Peccato che gli artefici di questo mondo fantastico siano in realtà uomini adulti, e che questi uomini adulti rispondano, tra gli altri, ai nomi di David Fincher e Tim Miller.