Penn Badgley di You prende le distanze dal suo Joe e centra il punto debole della serie: lo stalking non è romanticismo

Sacrosante le reazioni di Penn Badgley di You di fronte ai commenti empatici del pubblico nei confronti del suo personaggio, ma il problema riguarda tutta la serie


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Bene sta facendo Penn Badgley di You a rispondere severamente alle sue fan in adorazione per il personaggio di Joe ricordando loro di mantenere un giudizio critico di fronte alla finzione romanzata: il debutto della serie su Netflix lo scorso dicembre ha portato orde di adolescenti adulanti a manifestare sui social la loro perversa fascinazione per lo psicopatico protagonista Joe, libraio che diventa stalker di una donna di nome Beck e finisce per trasformarsi in un serial killer pur di averla solo per sé.

ATTENZIONE SPOILER!

Nonostante Joe, in nome di un presunto amore che in realtà è solo ossessione e smania di possesso, abbia ucciso l’ex-fidanzato, la sua migliore amica e infine anche la stessa Beck, qualcuno deve aver frainteso e mitizzato il suo comportamento, arrivando a non trovare nulla di così sconvolgente nel comportamento dell’uomo, anzi, a considerarlo perfino affascinante e desiderabile.

Incredibile, ma nemmeno poi tanto a vedere la serie, come lo stalking che sfocia nel femminicidio vero e proprio possa passare per romanticismo estremo per adolescenti del nuovo millennio, che pure dovrebbero distinguere nettamente ed essere pronte ad affrancarsi da modelli maschilisti così palesemente sbagliati.

Certo, un messaggio travisato è sempre frutto dell’interpretazione fuori contesto e dell’applicazione di categorie concettuali inadatte da parte di chi guarda, ma c’è da dire che per come è stata messa in scena la serie tratta dal romanzo omonimo di Caroline Kepnes (da cui pure si discosta nel finale) non aiuta a percepire nettamente il concetto di relazione tossica di cui pure tanto si parla negli studi sulla violenza di genere e nel dibattito pubblico sulle molestie che si è imposto nella discussione mediatica nell’ultimo anno e mezzo.

L’errore di fondo di You è proprio questo: l’ambientazione da commedia romantica in una New York fatta di viali alberati, caffé alla moda, studentesse universitarie di belle speranze e vecchie librerie dagli scaffali polverosi e dalle luci soffuse fa credere che si sia di fronte ad una classica romantic comedy degli anni Novanta, di quelle con protagoniste Julia Roberts o Jennifer Aniston, e questa atmosfera dolce e rarefatta che non si attenua nemmeno nel drammatico epilogo finale continua ad imporsi sul lato thriller del racconto, quello che mette in scena il controllo sistematico della vittima, i delitti reiterati del protagonista e il sentimento malato che quest’ultimo crede di nutrire nei confronti della malcapitata. La leggerezza tipica del genere rom-com, che in alcuni momenti lascia il posto al trash puro per la scarsissima credibilità delle vicende delittuose, non lascia mai il posto alla profondità del dramma (che si tratti dello stalking ossessivo o degli omicidi seriali), con eventi trattati superficialmente e senza il necessario approfondimento psicologico sui personaggi, vittime o carnefici che siano.

Per non parlare dell’improbabile protagonista, mostrato a tratti come eroe positivo quando salva il piccolo vicino di casa dai maltrattamenti del suo patrigno, anche in questo caso ricorrendo all’omicidio, o quando dimostra un amore sconfinato per la letteratura classica e un romanticismo da spot promozionale tanto eccessivo quanto calcolato. E non manca lo stereotipo dei maltrattamenti infantili subìti, nel suo caso inferti dall’uomo che gli ha affidato la libreria in cui lavora ma che l’ha cresciuto tra privazioni fisiche ed abusi psicologici, in un rapporto difficile da inquadrare che sarà probabilmente approfondito nella seconda stagione. La serie gioca sui due lati di Joe, da un lato giustiziere pronto a tutto per coloro che ama o pensa di amare, dall’altro omicida psicopatico ma lucido e feroce. E, complice la scarsissima empatia che suscita l’incasinata e volubile vittima Beck, fa sì che lo spettatore si avvicini di più – fino quasi ad empatizzare con lui – alla psicologia del carnefice che della vittima.

Non è così scontato, dunque, che col volto pulito di Badgley, col doppio ruolo di eroe/antieroe nella stessa persona e con la patina di glamour che avvolge tutta la narrazione, You finisca per ingannare lo spettatore più sprovveduto, perlopiù tra coloro che ancora sono disposti a credere alla bontà di sentimenti imperniati sul controllo, sulla limitazione della libertà altrui e perfino su quelli che una volta in Italia avremmo definito delitti d’onore.

Il pericolo ovviamente non c’è per uno spettatore poco impressionabile e psicologicamente più maturo, ma i tanti tweet che hanno suscitato la reazione di Penn Badgley, pronto a prendere le distanze da ogni possibile scusante per il suo personaggio, dimostrano che il pericolo di idealizzazione di un perverso assassino è dietro l’angolo. L’attore ci ha tenuto a ribadire, quasi in modo sprezzante per chi ha osato attribuire dei pregi al suo personaggio, che Joe non dovrebbe ingannare nessuno col suo finto romanticismo che fa da scudo ad una mancanza di scrupoli e coscienza. Tra i commenti più illuminanti che dimostrano l’empatia del pubblico col protagonista, c’è quello di chi avverte un senso di disagio nell’apprezzare il personaggio, sapendo di provare una commozione ingiustificata:

Mi sento male per averlo trovato sexy. Perché avevo paura che fosse arrestato? Perché volevo che mi amasse? Perché ho pianto quando ha detto che “vorrei che fossi qui per vedere questo” Beck?

Già sul set della seconda stagione di You che sarà su Netflix entro l’anno, Badgley ha definito quest’idealizzazione romantica del suo Joe la motivazione per continuare ad interpretarlo e rendere chiaro a tutti di che tipo di persona si tratti.

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