Connessione tra violenza e videogiochi, uno studio chiarisce la situazione

Ben tremila i soggetti osservati, con i dati che non indicano l'insorgere di atteggiamenti indesiderabili dopo l'esposizione a giochi violenti

Violenza nei videogiochi

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La violenza nei videogiochi è sempre stato un tema complesso, e ha avuto schieramenti di estremisti pronti a difendere le proprie ragioni a priori: se da un lato i gamer si sono da sempre disposti di fianco al media videoludico, dall’altro i detrattori sono costantemente aumentati nel corso del tempo, complice anche immotivate escalation di violenza su scala globale che non avevano apparentemente una causa reale. Facile quindi scagliarsi senza alcuna pietà su quello che a tutti gli effetti è un’espressione del genio artistico al pari del cinema o dell’editoria, con l’unica “colpa” che consiste nel grado di immersione pressochè totale garantito dall’interazione diretta con quanto passa sullo schermo. Il processo decisionale (sparare o non sparare in determinati frangenti, per fare un esempio, ndr) garantito ai giocatori dalle varie esperienze ludiche pesa infatti come un macigno sulla testa dei videogames, col fianco che resta ovviamente scoperto a una variegata risma di offensive da parte dei detrattori.

Numerosi gli studi scientifici che hanno provato nel corso del tempo a mettere un punto all’annosa diatriba sulla violenza nei videogiochi: ultimo in ordine temporale è quello che arriva dall’Università di New York, dove i ricercatori hanno potuto contare su una base assolutamente considerevole per le proprie analisi costituita da un campione di tremila videogiocatori.

A seguito di sessioni di gioco con titoli di stampo violento, e che consentivano agli utenti di combattere con personaggi gestiti dall’intelligenza artificiale, differenziando il tutto con giochi dai comportamenti realistici e altri titoli che rispondevano invece in maniera meno netta alle mere leggi della fisica.

Nella seconda fase dello studio, agli utenti in fase di test è stato chiesto di risolvere puzzle che prevedevano associazioni di parole: il tutto non ha evidenziato l’insorgere di attitudini violente nemmeno in questa sede, con il paradosso che è stato rappresentato dalla tendenza a una maggiore aggressività dimostrata dagli utenti che avevano usato il titolo meno simulativo tra quelli proposti.

Non sarà questo ovviamente l’ultimo studio operato sulla violenza nei videogiochi, sebbene i dati emersi spingano i vari producer a chiedere maggiore rispetto per quelle che a tutti gli effetti sono opere di espressione artistica alla stregua di un film di stampo bellico o di libri e pellicole horror. E queste ultime non sembra abbiano prodotto Michael Myers a profusione.

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