La pazza gioia, stasera in prima tv il capolavoro di Paolo Virzì

Su Rai Tre alle 21.15 c’è il bellissimo film del regista livornese. È la storia di due donne sole, sull’orlo della follia, che cercano un modo per ridare senso alla propria vita. Bravissime Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti, in un film che guarda alla grande commedia all’italiana, ma che sa raccontarci anche l’Italia di oggi.

La pazza gioia di Paolo Virzì, stasera in prima tv su Rai Tre

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Abbiamo ancora negli occhi il discorso di ringraziamento di Valeria Bruni Tedeschi agli ultimi David di Donatello, dove fu premiata, meritatamente, come migliore attrice per La pazza gioia. “Ringrazio Franco Basaglia, che ha cambiato l’approccio della malattia mentale; Paolo Virzì, che mi guarda da anni con affetto, tenerezza e senza paura; ringrazio la mia povera psicanalista; gli uomini che mi hanno amata, che ho amato e che mi hanno abbandonata”. E così via, in un’esternazione folle, divertentissima, felicemente sconclusionata, con l’aria di chi sta – probabilmente lo stava davvero facendo – ancora interpretando la parte di Beatrice Morandini Valdirana, il personaggio del film, origini aristocratiche e ottime frequentazioni – sostiene lei –, aria sicura da nobile e al fondo invece disastratissima, bipolare, lasciata dal marito, turlupinata da un piccolo truffatore con cui ha immaginato un grande amore romantico. Una donna, insomma, sull’orlo, e anche oltre, di un baratro emotivo.

Con La pazza gioia, stasera in una prima tv da non perdere su Rai Tre alle 21.15, Paolo Virzì ha realizzato la più bella commedia (all’)italiana degli ultimi anni, che ha il profumo dei classici del nostro cinema e insieme mostra uno sguardo personale, all’altezza dei tempi, nel quale la nostalgia del passato non diventa mai alibi per non mettersi ad auscultare il presente.

La pazza gioia è la storia di due donne, Beatrice, di follia estroversa e capricciosa, e Donatella (una misurata Micaela Ramazzotti, che occupa con intelligenza gli spazi vuoti lasciati dalla debordante, come vuole il ruolo, Bruni Tedeschi), proletaria timida, provata dalla vita, mandata dopo un gesto disperato – le hanno tolto l’affidamento della sua bambina – a curarsi in una comunità per donne con disturbi mentali in Toscana. Lì si ritrovano Beatrice e Donatella: e nella diversità s’apprezzano, forse si completano, e cercano in una fuga utopica di ritrovare il filo e il significato della propria esistenza.

Paolo Virzì trova nella vicenda circoscritta di due donne ferite una misura ammirevole, rendendo La pazza gioia un ritratto esemplare ricco di notazioni, che riesce miracolosamente a dire qualcosa anche sul paese che siamo diventati. Apparentemente sembra un film alla Thelma & Louise: ma non ci si lasci ingannare dallo smalto della superficie, e nemmeno dal fatto che il nuovo film appena presentato a Venezia, The Leisure Seeker, Paolo Virzì l’abbia girato negli Stati Uniti. Il regista resta radicato nella sua terra, lo ha ripetuto anche al Lido: “Mi sento figlio del cinema italiano. Anche sulla East Coast americana ho cercato di non rinunciare alle mie consuetudini di regista nato in Italia, anzi a Livorno, per usare ingredienti che ho a cuore da sempre: verità, umanità, ironia, provando a mescolare commedia e tragedia, disavventure comiche e istanti di gioia pura”.

Gioia pura, e anche pazza, appunto. Allora la vicenda di Beatrice e Donatella s’aggira più dalle parti de Il sorpasso, citato nell’episodio in cui le due sfrecciano in Versilia su un’auto sportiva decappottabile vestite come signore anni Sessanta, mentre in colonna sonora riecheggia Senza fine di Gino Paoli. La pazza gioia assomiglia a tratti a una versione al femminile del viaggio di Gassman e Trintignant: e Virzì rende omaggio non solo al cinema di Risi, ma anche, e forse di più, a quello di Pietrangeli e Scola, i primi a porre al centro delle loro storie le donne, mettendo in crisi il maschilismo imperante della commedia all’italiana (della società italiana tutta, a essere precisi).

La pazza gioia parla anche di follia, naturalmente, ma senza il didascalismo dei sani in manicomio e i matti fuori – e qui si sente l’apporto in sceneggiatura di Francesca Archibugi, che sul disagio psichico aveva firmato il sensibile Grande cocomero. Alla fine è più un ritratto di solitudini, di esseri umani senza padri né madri. Che sono anche presenti, ma è meglio se non ci fossero, dato che il padre di Donatella (Marco Messeri) è uno spiantato che quando l’incontra le dice che deve arrangiarsi da sola; e la mamma di Beatrice (Marisa Borini, vera madre della Bruni Tedeschi) della figlia dice: “Si ammazzasse e la facesse finita”.

La pazza gioia ci getta addosso un forte sentimento di orfanità. Che Virzì rende attraverso un ritmo che restituisce sul piano della narrazione il carattere dei personaggi: coi primi due terzi del film senza un attimo di tregua, parlatissimi e concitati come Beatrice; fino al rallentamento e ai silenzi dell’ultima parte, quando prende il sopravvento la vicenda e la laconicità addolorata di Donatella.

Virzì ha composto uno dei più compiuti film italiani degli ultimi anni, un racconto puntuale di personaggi smarriti e contraddittori dal tono agrodolce e non giudicante. Nel quale, battendo i sentieri conosciuti della sua terra, ritrova l’ispirazione migliore, confermando di essere l’unico consapevole e autonomo erede della commedia all’italiana.

La pazza gioia, di Paolo Virzì, con Valeria Bruni Tedeschi, Micaela Ramazzotti, Marco Messeri, Anna Galiena, stasera in prima tv su Rai Tre, ore 21.15.