Venezia 2017, il trionfo di Gatta Cenerentola. Ma smettiamo di parlare di miracolo napoletano

Il film d’animazione prodotto da Mad Entertainment e firmato da Rak, Cappiello, Guarnieri e Sansone, è stato accolto da un'ovazione. Bravissimi gli attori, Massimiliano Gallo, Maria Pia Calzone, Alessandro Gassmann. Ma questo cartone animato non è il risultato d'una geniale improvvisazione, bensì il frutto di un progetto lucido e coerente.

Venezia 2017, il trionfo di Gatta Cenerentola

INTERAZIONI: 1764

Alla mostra del cinema di Venezia 2017 è andato in scena il trionfo di Gatta Cenerentola. Il film d’animazione prodotto dalla Mad Entertainment e firmato da Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone, nella proiezione per il pubblico in sala Darsena ha ottenuto un lungo e convinto applauso dei presenti, tra cui anche il presidente della Biennale Paolo Baratta e il sindaco di Napoli Luigi De Magistris.

La casa di produzione napoletana si era già messa in luce con L’arte della felicità che, firmato dal solo Alessandro Rak, s’era issato sino a conquistare nel 2014 l’Efa, l’Oscar europeo per il cinema d’animazione. Ma va detto che con Gatta Cenerentola l’evoluzione, sia sotto il profilo della forza e compattezza della narrazione che dal punto di vista eminentemente tecnico – tramite un’animazione che mescola sapientemente 2d e 3d – è impressionante.

Gatta Cenerentola parte dalla favola nella sua prima versione scritta, quella del Cunto de li Cunti di Giambattista Basile, che conteneva un’anima violenta che ha poco a che vedere con la versione edulcorata che siamo stati abituati a conoscere. Il film ne introietta lo spirito originario per costruire una fiaba dark ambientata in una Napoli contemporanea che non ha nulla di piattamente referenziale, ma è un luogo insieme inventato e reale, concreto e sognato. C’è uno scienziato e benefattore visionario, don Vittorio Basile, che nutre sogni di palingenesi per la città. Ma sposa la donna sbagliata, Angelica Carannante, che il malavitoso Salvatore Lo Giusto mette tra le sue braccia solo perché ha tutt’altri, e sinistri, progetti per Napoli. Una volta sbarazzatosi del rivale, sotto la tutela della vedova passa la piccola figlia di Basile, Mia, nell’attesa che, una volta maggiorenne, il suo patrimonio finisca nelle mani della coppia criminale. Ma c’è un uomo, Primo Gemito, antica guardia del corpo di Basile, che veglia sulla bambina per salvarla.

Il film ha la capacità di reinventare liberamente la storia di partenza, mantenendone alcuni elementi simbolici essenziali – la scarpina, la durezza di matrigna e sorellastre nei confronti di Mia –, cui ne aggiunge altri – la nave, un merlo canterino che fa pensare all’uccellino di due celebri canzone napoletane classiche, Lo cardillo e Reginella di Libero Bovio, gli ologrammi che appaiono e scompaiono capricciosamente, come fossero improvvisi lampi di ricordi che interagiscono col presente, condizionandolo – e per una città come Napoli che vive in maniera esasperante il peso della tradizione e di passati che non passano, l’allegoria non potrebbe essere più lampante.

Fondamentale l’apporto degli attori che hanno prestato le voci ai personaggi principali: un ispiratissimo, folle Massimiliano Gallo nella parte del villain – perché non dargli il premio come migliore attore nella sezione Orizzonti? –, cui fa da contraltare un Alessandro Gassmann-Primo Gemito sottotraccia, di romanticismo quasi timido; Maria Pia Calzone è invece Angelica, della quale riesce a tratteggiare la durezza, ma anche l’amara consapevolezza d’essersi scelta una vita sbagliata.

Ne emerge un ritratto di Napoli per nulla conciliato, con squarci di violenza quasi alla Tarantino, la presenza di canzoni fortemente critiche – come la Napule dei Virtuosi di san Martino, reinterpretata da Massimiliano Gallo –, un senso di ineluttabilità in cui affoga qualunque speranza d’una città che resta sempre in potenza e mai in atto.

L’atto, semmai, è il progetto produttivo e creativo che è a monte del film, è il lavoro realizzato dalla Mad Entertainment di Luciano Stella, capace di intercettare e mettere insieme un gruppo di talentuosi artisti e con loro pianificare un percorso di lunga durata, che per ora ha portato alla realizzazione di due lungometraggi d’animazione in pochissimi anni – raccogliendo per Gatta Cenerentola  l’interesse di Rai Cinema che l’ha coprodotto, facendosi distribuire da Videa, collaborando con un partner privato sensibile come Optima Italia.

Tra le tante entusiastiche recensioni uscite all’indomani di questa prima veneziana, c’è chi si chiede se Mad non possa diventare lo Studio Ghibli italiano, chi, come Paolo Mereghetti, sottolinea “la voglia di cercare nuove strade per l’animazione adulta”, e chi grida al miracolo napoletano, come l’Ansa e il Messaggero. Sono commenti lusinghieri, che i diretti interessati accoglieranno con giusta soddisfazione.

Da osservatore però – e da osservatore, inutile nasconderlo, napoletano –, la mia speranza è che quanto prima si possa smettere di gridare al miracolo per qualunque cosa accada a Napoli che abbia a che vedere con l’impresa – l’industria culturale è impresa – e si riesca a immaginare un futuro, come quello sognato da Vittorio Basile, in cui sia percepito come normale ciò che oggi viene ineluttabilmente vissuto come eccezione e anomalia. Perché Gatta Cenerentola non è il risultato dello spirito d’abnegazione di persone brave nella napoletana arte d’arrangiarsi, ma il frutto, certo perseguito tra oggettive difficoltà e limiti di budget (1,2 milioni di euro) di un progetto imprenditoriale lucido e coerente. Che va assolutamente coltivato e aiutato a far crescere, nell’interesse del cinema italiano.