Gold – La grande truffa, la corsa all’oro di Matthew McConaughey

Il 4 maggio esce il film col divo premio Oscar. McConaughey ingrassa venti chili per diventare un vorace capitalista. "Gold" vuole riflettere sulla crisi e la finanza selvaggia. E per farlo guarda a modelli alti: "The Wolf of Wall Street", "La grande scommessa", "American Hustle".

Gold - La grande truffa, con Matthew McConaughey

INTERAZIONI: 152

Dimagrito 20 chili per Dallas Buyers Club, stavolta Matthew McConaughey ingrassa vistosamente per Gold – La grande truffa, imbruttito anche da una calvizie che conferma l’avvenuta trasformazione dell’ex sex symbol in uno dei migliori attori contemporanei.

La pinguedine nel film di Stephen Gaghan (Syriana), è il segno della bulimia di Kenny Wells, imprenditore minerario che agguanta finalmente la grande occasione. Il suo socio Michael Acosta (Édgar Ramírez), geologo con fama di Re Mida, scopre in Indonesia un ricchissimo giacimento d’oro. Ingolosita, si mobilita l’alta finanza, che accoglie il parvenu Wells, e le azioni della sua società schizzano alle stelle. Successo e cupidigia però hanno un prezzo. Che Wells e Acosta pagheranno: ma non sarà esattamente quello immaginabile.

Gold – La grande truffa (assurdo titolo italiano spoiler) nasce dalla storia vera dello scandalo di un’agenzia mineraria canadese negli anni Novanta. Spunto che gli sceneggiatori Patrick Massett e John Zinman, nel mezzo della crisi finanziaria del 2008, ritennero perfetto per un racconto morale sull’avidità. Ricordandosi del ritornello simbolo del cinema anni Ottanta – “L’avidità è giusta, l’avidità funziona”, copyright Gordon Gekko – retrodatano la storia al decennio degli yuppies, per sottolineare come sia quella l’epoca in cui è cominciata la deriva dell’odierno capitalismo finanziario.

Gold parte come una requisitoria su dinamiche e storture dell’economia, con un dialogo a effetto in cui Wells fa colpo sulla donna che diventerà sua moglie (Bryce Dallas Howard) spiegandole in termini semplici il suo lavoro, armeggiando nella sua borsetta. È un’ossessione del cinema contemporaneo quella di tradurre in linguaggio comprensibile le astruse terminologie finanziarie (La grande scommessa). In Gold c’è pure la voice over di Wells, che come nei film di Scorsese (Casino, The Wolf of Wall Street), funge sia da ulteriore commento esplicativo che da controcanto morale. Da Scorsese deriva anche l’attenzione alle musiche, una colonna sonora ricercata con Pixies, Joy Division, Television, un Iggy Pop versione Leonard Cohen che canta il tema del film.

Eppure Gold non decolla, soprattutto perché una volta spostata l’azione in Indonesia, il film si trasforma in un racconto avventuroso, con l’esotico Acosta e una terra di monsoni, dittatori (Suharto), una comunità brulicante di operosi disperati (citando apertamente le foto di Salgado).

Nonostante la foga interpretativa, pure eccessiva, di McConaughey, Gold non riesce a saldare il racconto morale all’avventura a tratti picaresca (l’incontro col figlio del dittatore), così il film non raggiunge mai quell’esemplarità ricercata attraverso dialoghi troppo espliciti (“La verità è che quando tutti si arricchiscono a nessuno importa niente della verità”). Il racconto resta di riporto: il sottobosco di americani di serie B che si fanno largo verso il successo viene da The Wolf of Wall Street (ma ne manca la concitazione tossica), la sottotrama da truffa strizza l’occhiolino ad American Hustle, con Matthew McConaughey a imitare il look di Christian Bale in quel film.

Gold – La grande truffa non trova uno stile all’altezza della complessità della vicenda – come faceva La grande scommessa – e, nonostante gli incastri temporali, resta lineare e didascalico. E sul racconto morale prevale il romanzo d’avventure, paradossalmente a lieto fine.