7 minuti, il film di Placido sulla classe operaia declama invece di far riflettere

Tratto da una storia vera, un film a tesi sul lavoro al tempo della crisi economica. Quando la paura ha cancellato la solidarietà di classe. E ognuno pensa a se stesso. Un nutrito cast al femminile: Ambra Angiolini, Fiorella Mannoia, Ottavia Piccolo, Cristiana Capotondi.

7 minuti

INTERAZIONI: 10

I 7 minuti sono lo sforzo che l’azienda tessile Varazzi chiede alle proprie operaie. La fabbrica sta per siglare un accordo che cede il controllo dai vecchi proprietari a un partner francese. Il passaggio salva il lavoro di tutti: a patto di accettare una piccola riduzione della pausa pranzo di 7 minuti. Che sono in fondo 7 minuti? Ma la rappresentante sindacale Ottavia Piccolo è convinta che si tratti d’una prova: se le operaie cedono, poi arriveranno nuove condizioni, sempre più pesanti. Perciò cerca di convincere le dieci componenti del consiglio di fabbrica a votare no.

7 minuti di Michele Placido è tratto da una pièce di Stefano Massini (l’autore di Lehman Trilogy, ultima regia di Luca Ronconi) ispirata alla storia vera di un’azienda francese. La struttura rimanda al classico La parola ai giurati di Sidney Lumet, dove dodici persone devono decidere della colpevolezza di un uomo e l’unico che sostiene l’innocenza dell’imputato, difendendo le ragioni del dubbio e del dialogo, convince gli altri membri.

In 7 minuti a battersi, molto simbolicamente, è Ottavia Piccolo. Perché lei, operaia da trent’anni, è la memoria storica di un modo democratico e solidale di intendere la vita di fabbrica. Ma il mondo del lavoro è cambiato, e insicurezza e crisi economica spingono donne ormai disperate ad accettare qualunque condizione.

7 minuti è un film sull’eclissi di un’epoca, il crollo della solidarietà operaia, il ricatto della paura. La disgregazione d’un mondo del lavoro divenuto terreno d’uno scontro di tutti contro tutti è al centro di tanto cinema contemporaneo: Io, Daniel Blake di Ken Loach, Due giorni, una notte dei Dardenne, La legge del mercato di Stéphane Brizé, dove un dipendente per tenersi l’impiego spia i propri colleghi. Opere a loro modo militanti, che però evitano la secche del film a tesi grazie al pedinamento di individui restituiti nella loro complessità di esseri umani posti di fronte a scelte inaggirabili.

In 7 minuti invece i personaggi non hanno il dono della verosimiglianza, sono invece dei tasselli che svolgono una funzione predeterminata in un racconto di sapore didattico, che declama invece di far riflettere. C’è la napoletana aggressiva con quattro figli da mantenere, quella finita in carrozzella per un incidente sul lavoro, l’albanese molestata dal padrone, la coatta aggressiva ma al fondo solidale, la neoassunta apolitica, la partoriente (simbolo di queste operaie che possono “dar vita” a qualcosa di bello e nuovo). Non sono nemmeno il riflesso di qualche categoria sociologicamente attendibile, ma pedine poste lì per esporre la tesi di fondo e far progredire il meccanismo narrativo.

Sebbene la messinscena di 7 minuti sembri spoglia e realista, la costruzione drammaturgica è artificiosa, con l’uso di espedienti che trascinano il pathos verso una commozione priva di lucidità: monologhi esemplari, ralenti, musiche melodrammatiche, suspense immotivata. L’ultimo tocco didascalico è nel finale. Perché a decidere l’esito di una votazione in bilico sarà proprio la ragazza apolitica. E lì si capirà se la vecchia classe operaia delle Ottavia Piccolo è morta del tutto o se c’è ancora speranza.

https://youtu.be/YCU5VmwcEaQ