Il cavaliere pallido, stasera in tv il western secondo Clint Eastwood

Alle 21 su Iris il film del 1985 diretto e interpretato da Eastwood. Un western che guarda ai classici del genere più che a Sergio Leone. Bellissimo, all’altezza del più celebrato “Gli spietati”.

Clint Eastwood

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Il cavaliere pallido di Clint Eastwood è del 1985. Girare un western a Hollywood a quell’epoca era un atto di coraggio. Non solo perché il genere viveva di suo una lunga fase di crisi. Ma soprattutto perché nel 1980 era uscito il film che, da allora in poi, è stato bollato come la più grande catastrofe della storia dell’industria cinematografica statunitense, I cancelli del cielo di Michael Cimino. Un western, ovviamente, che costò 44 milioni di dollari e ne incassò 3 e mezzo, portando al fallimento la gloriosa United Artists fondata da Charlie Chaplin e David Wark Griffith.

A pensarci bene, il solo che in quel tempo avrebbe potuto proporre un western ai produttori senza farli scappare a gambe levate era proprio Clint Eastwood. Un personaggio già leggendario, la cui carriera è segnata dal genere cinematografico americano per eccellenza. Anche se, ironia della sorte, i western che per primi diedero fama all’attore con gli occhi di ghiaccio furono le italianissime versioni “spaghetti” di Sergio Leone.

Comunque, dai tempi del pistolero col sigaro in bocca della trilogia del dollaro ne era passata di acqua sotto i ponti. Clint Eastwood aveva sia interpretato variazioni americane degli spaghetti western, come Impiccalo più in alto, sia indossato i panni contemporanei (e controversi) dell’ispettore Callaghan. Inoltre, l’attore aveva dimostrato di essere anche un regista affidabile e versatile, dal western (Lo straniero senza nome, Il texano dagli occhi di ghiaccio) al thriller (Brivido nella notte), a ritratti crepuscolari di un’America al tramonto (Bronco Billy, Honky Tonk Man).

Perciò nel 1985 Clint Eastwood dirige e interpreta Il cavaliere pallido, che insieme al coevo Silverado di Lawrence Kasdan, con Kevin Costner, documenta l’inattesa ricomparsa di un genere dato per moribondo. Ed è curioso che saranno ancora una volta Costner ed Eastwood nella decade successiva, il primo con il filo-indiano Balla coi lupi (1990), il secondo col capolavoro Gli spietati (1992) – entrambi fecero incetta di Oscar – a certificare il rilancio del genere.

Il cavaliere pallido (The pale rider) racconta una storia quasi elementare, che appartiene al codice genetico del western: un uomo presentatosi sotto le mentite spoglie di un predicatore – ma poi si capirà che è solo uno “straniero senza nome” – prende le difese di una pacifica comunità di cercatori d’oro, vessata da un losco uomo d’affari che assolda dei pistoleri di professione per eliminare la concorrenza. Eseguito il compito, l’eroe va via senza dire una parola.

Il cavaliere pallido è uno dei grandi film della carriera del Clint Eastwood regista. Un western incastonato in uno scenario naturale maestoso e inospitale. Un film che reca i segni dei classici del genere: Il cavaliere della valle solitaria, ovviamente, di cui è una palese variazione sul tema. Ma anche, risalendo agli albori del cinema, il personaggio di Tom Mix, eroe senza legami, sorta di creatura angelica che, una volta sconfitti i malvagi, ritornava nell’altrove indefinito da cui era emerso.

Ed angelo, o forse diavolo, è il cavaliere di Clint Eastwood, per il quale l’aggettivo “pallido” è una memoria che viene dall’Apocalisse di Giovanni: “Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno”. Nella versione inglese della Bibbia, infatti, il termine “verdastro” è reso con “pale”, “pallido”. Il pistolero di Eastwood, insomma, è uno dei quattro cavalieri dell’Apocalisse, un angelo della morte venuto a ristabilire l’ordine, dotato di una soprannaturale capacità, durante i duelli, di apparire e scomparire come fosse, appunto, un fantasma.

Il cavaliere pallido ha un sottofondo misticheggiante, accentuato dalla fotografia di Bruce Surtees, che alterna la luce fredda e tagliente delle scene in esterni con i toni cupi degli interni, che intagliano il protagonista in un’ombra che lo rende una figura dai contorni incerti e sfuggenti. Ed è anche un film che regola i debiti con Sergio Leone. Dei pistoleri del regista italiano il cavaliere di Clint Eastwood eredita l’invincibilità e la laconicità. Ma i personaggi leoniani possedevano una laconicità sentenziosa e scolpivano dichiarazioni memorabili con la loro lingua tagliente, mentre l’eroe de Il cavaliere pallido è un uomo assolutamente taciturno. Inoltre il personaggio di Eastwood ha un’intensa relazione con la famiglia che lo ospita, nella quale sia la moglie del cercatore d’oro che la figlia quindicenne s’innamorano di lui. E la sobria delicatezza delle notazioni sentimentali che Eastwood accumula nel suo racconto è lontana dal gusto di Sergio Leone, poco interessato alle emozioni dei gruppi familiari e intento invece a sbalzare i suoi memorabili ritratti di pistoleri in bilico tra archetipo, mito e parodia.

I riferimenti de Il cavaliere pallido affondano più nei classici del western di John Ford, Anthony Mann, Howard Hawks, quest’ultimo apertamente omaggiato dalla presenza nel cast di John Russell, che aveva interpretato il villain nel capolavoro hawksiano Per un dollaro d’onore. Ma essendo consapevole dell’impossibilità di imitare i classici, per le mutate condizioni storiche e produttive, Eastwood usa come reagenti elementi che in parte trae dai suoi maestri Leone e Don Siegel, puntando a una stilizzazione a tratti molto evidente, come nel bellissimo duello finale, con movimenti talmente precisi da sembrare una coreografia. Il cavaliere pallido è già un (quasi) capolavoro, anche se l’Academy avrà bisogno ancora di qualche anno per accorgersi delle doti registiche di Clint Eastwood, che premierà solo nel 1993 con il successivo western Gli spietati, Oscar per regia e miglior film. Per la cronaca: Il cavaliere pallido costò circa 7 milioni di dollari e ne incassò 41, a conferma del fatto che, anche al botteghino, Clint Eastwood è una garanzia. Infatti chi è questa settimana ai vertici del box office americano? Ancora lui, con Sully, il film con Tom Hanks – in Italia lo vedremo il 15 dicembre – che ha già incassato 70 milioni di dollari.