Omofobia e giornali, Antonello Sannino di ArciGay: “L’offesa non è un’opinione, ora serve una legge”

Il caso di cronaca di Cava de' Tirreni diventa un titolo a sfondo omofobo sulla stampa locale: la condanna di Antonello Sannino di ArciGay e le proposte per combattere il fenomeno

Omofobia e giornali, intervista ad Antonello Sannino di ArciGay

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C’è ancora tanta strada da fare sul fronte della lotta all’omofobia e la cronaca continua a dimostrarcelo. La vicenda del diciassettenne violentato a Cava de’ Tirreni in un centro massaggi da un gruppo di cinquantenni è approdata sui giornali locali portando con sé un carico di ulteriore violenza: come se non bastasse la crudezza dell notizia in sé, ad indignare è il modo in cui alcune testate hanno trattato la vicenda, rimarcando volutamente e in modo sprezzante l’orientamento sessuale delle persone coinvolte.

L’imbarazzante titolo del quotidiano locale Le cronache di Salerno diretto da Tommaso D’Angelo, che in prima pagina ha definito “froci violentatori” gli autori del presunto reato, ha riaperto un dibattito quantomai attuale e necessario in questo paese. L’Italia che combatte per i diritti civili e riesce ad ottenere con fatica piccoli grandi risultati è la stessa Italia in cui ancora oggi serpeggia, in modo neanche malcelato, un’attitudine omofobica pronta ad emergere non appena si presenta l’occasione.

Perché mai nei casi di stupro in cui la vittima è una donna non si indugia sull’eterosessualità del criminale? Perché perseverare nel voler insinuare l’esistenza di un legame tra omosessualità e tendenze criminali? E perché cedere all’utilizzo di termini e stilemi notoriamente considerati offensivi solo per il gusto del sensazionalismo?

Per provare a fare chiarezza su un tema così delicato abbiamo contattato il presidente di Arcigay Napoli Antonello Sannino, tra i primi a caldeggiare un intervento da parte dell’Ordine dei Giornalisti sulla vicenda. Sannino ci spiega che Ottavio Lucarelli, presidente dell’Ordine regionale dei giornalisti in Campania, ha fatto sapere di aver ricevuto diversi esposti all’Ordine dei giornalisti e che saranno presi i provvedimenti di legge previsti in questi casi.

Ancora nel 2016, nell’anno in cui l’Italia si è finalmente dotata di una legge sui diritti civili per la comunità LGBT (recentemente discussa a Napoli proprio dalla relatrice Monica Cirinnà con Sannino al KJU Festival), c’è da aspettarsi prime pagine dei giornali di questo genere?

Purtroppo mi aspettavo che succedesse qualcosa del genere dopo un caso come questo. Ovviamente esprimo la massima solidarietà alla vittima di questo presunto stupro (ad accertare i fatti saranno i magistrati e non i giornalisti ed è sempre bene ricordare che stiamo parlando di un’inchiesta ancora in corso, non vi è alcuna sentenza), ma è grave istituire un legame tra la pedofilia, in questo caso si tratta di violenza su un minore, e l’omosessualità in generale, come se dovesse esserci necessariamente un collegamento tra l’orientamento sessuale e il reato. Il modo in cui ancora oggi si parla dei gay e della comunità LGBT ricorda l’Italia pasoliniana degli anni ’50, che usa ancora i termini froci, vizietto, gusto sessuale. I giornali dell’epoca facevano lo stesso.

I titoli apparsi su Le Cronache del Mezzogiorno ci riportano all’enorme responsabilità di chi fa informazione.

Le persone che si occupano di giornalismo o che hanno a che fare con le istituzioni, come Tommaso D’Angelo o Peppe Iannicelli, che ha lavorato con De Luca e si è occupato di tanti progetti a sfondo sociale, non possono parlare di gusto sessuale come se fosse alla base di una presunta violenza, come non esiste il diritto di mettere alla gogna pubblica degli accusati finché non si abbia certezza dei fatti, altrimenti salta l’intero impianto dello stato di diritto. Da persone garantiste non ci si aspetta questo. Si è fatto un uso strumentale di un fatto gravissimo, ma che nulla ha a che vedere con l’omosessualità, per ottenere visibilità e per attaccare la comunità LGBT: per fortuna la rete è stata molto solidale nei commenti di condanna nei confronti di questi titoli impropri. L’apice del giornalismo squadrista si è raggiunto poi con l’attacco di D’Angelo a Tamburini (direttore del quotidiano La Città che aveva criticato il titolo in questione), additandolo come presunto omosessuale e parlando di un suo eventuale “vizietto”, dunque confermando il modo offensivo di rivolgersi alle persone gay.

L’importanza delle parole, direbbe Moretti. E delle loro conseguenze sulle persone, aggiungiamo noi.

Persone che hanno ruoli importanti dal punto di vista sociale, perché la comunicazione oggi è fondamentale, dovrebbero pensarci due volte prima di usare questi termini, perché si crea tutto un circuito di violenza in cui si incita alla castrazione chimica per tutti, a sparare i gay, a punirli e metterli alla gogna: così si scatenano i peggiori istinti delle persone, che comunque esistono nella comunità, è un istigazione all’odio, ma non nei confronti dei criminali, ma contro gli omosessuali. Perché quando violentano una donna non si prendono le distanze dagli eterosessuali? Un criminale è un criminale indipendentemente dall’orientamento sessuale.

Queste considerazioni ci riportano però alla base del problema: ancora oggi, nel 2016, l’omosessualità è considerata una devianza, qualcosa di anormale.

Cercheremo giustizia finché non si capirà che l’omosessualità è nient’altro che una variante naturale dell’orientamento sessuale e finché non si smetterà di definirla un vizio, un peccato, mostrando di appartenere ancora ad un substrato culturale da anni ’50, finché non si sarà sradicata la convinzione che l’omosessualità è una deviazione, una perversione. Questa è una cultura provinciale, reazionaria e fascista che emerge dall’ignoranza.

Le iniziative in campo sono tante, come la proposta di una legge regionale contro l’omo-transfobia, che purtroppo non esiste ancora nemmeno a livello nazionale.

Cercheremo forme di ammortizzatori legislativi per far fronte agli attacchi subiti dalla comunità LGBT: negli ultimi mesi dopo l’approvazione della legge Cirinnà sulle unioni civili c’è una coscienza nuova, sono in aumento le denunce da parte di chi subisce discriminazioni e violenze per il proprio orientamento sessuale. A Napoli ad esempio c’è stato un grande incremento, forse perché le persone hanno preso coscienza dei loro diritti e non hanno più paura di denunciare. Lo stesso è accaduto in precedenza in Francia o in Spagna. Ma c’è anche un contraccolpo reazionario, quello di chi subisce come un attacco la concessione di diritti che invece è un arricchimento per tutti. Sicuramente ci sono in giro tanti piccoli Trump che aspettano di scagliarsi contro le minoranze, che siano gay, trans, Rom o immigrati, categorie sulle quali si scatena la frustrazione sociale. Questo, unito alla crisi sociale e all’assenza di una classe politica che esprima dei valori chiari, crea un clima difficile, pericoloso. Se si giustifica l’utilizzo del termine froci, si ha la responsabilità morale della violenza che si genera: il diritto d’opinione è sacrosanto, ma l’offesa non è un’opinione.

Cosa si può fare per condannare questo approccio e cercare di combatterlo?

L’informazione è fondamentale, tanto è vero che esiste una direttiva per un’informazione rispettosa delle persone LGBT approvata dal Dipartimento per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, disponibile sul Portale di Informazione Antidiscriminazioni LGBT, che stabilisce linee guida per garantire il rispetto per tutte le persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali nella rappresentazione che i media fanno di loro. C’è ancora molto da lavorare. Ad esempio, molto spesso quando ci sono casi di cronaca nera con vittime dei transgender, si sceglie di declinare l’identità di genere al maschile: questa scelta è un ulteriore violenza nei confronti di chi ha passato la propria vita nel cercare di autodeterminarsi adeguando il proprio corpo a quello che è il proprio sentire interiore. Nel momento in cui si usa il termine trans al maschile e non al femminile non viene rispettata l’autodeterminazione della persona. Nelle linee guida nazionali per un’informazione rispettosa delle persone LGBT tra i punti fondamentali c’è proprio la formazione dei giornalisti, che devono adeguarsi al mondo che cambia ed agire nel rispetto delle persone e del loro modo di essere. Ma soprattutto devono capire che l’omosessualità è soltanto una variante dell’orientamento sessuale: per questo chiederemo una legge regionale contro l’omo-transfobia, in attesa che anche a livello nazionale si raggiunga un risultato.