Addio a Michael Cimino, il regista premio Oscar de “Il cacciatore”

È morto a 77 anni un artista controverso, autore de “Il cacciatore” ma anche dell'insuccesso che gli stroncò la carriera, “I cancelli del cielo”. Cimino è stato un personaggio singolare, con tanti pettegolezzi legati alla sua età. E persino alla sua identità sessuale.

Addio a Michael Cimino regista de Il cacciatore

INTERAZIONI: 104

È morto il regista Michael Cimino. Era nato a New York, probabilmente nel 1939 e aveva quindi 77 anni. Probabilmente. Di sicurezze ce ne sono poche nella vita di questo singolare artista. Persino la sua statura di grande autore è posta in dubbio da alcuni, sebbene abbia diretto Il cacciatore (1978), il capolavoro sul Vietnam con Robert De Niro che vinse 5 premi oscar, tra cui quello come miglior film e migliore regia.

Le incertezze sulla vita di Michael Cimino hanno origine probabilmente quando, sull’onda del successo de Il cacciatore – costo 15 milioni e incasso di 48 – la United Artist pensò di produrre il nuovo progetto del regista, concedendogli ampia fiducia. Forse troppa: perché nella lavorazione de I cancelli del cielo sforò il budget dagli iniziali dieci milioni circa ai finali 44. Non solo: la prima versione montata da Cimino di questo atipico western politico – una storia di contadini immigrati sterminati da mercenari assoldati dai grandi proprietari di bestiame – durava 5 ore e mezza. Ridotte a poco meno di quattro (219 minuti, per la precisione) in occasione della prima del 19 novembre 1980, che ottenne un’accoglienza disastrosa. La United allora lo rimontò, asciugandolo fino a 2 ore e mezza: così fu mandato in sala. Incasso, tre milioni e mezzo. La United Artists, che già non navigava in buone acque, fallì e fu costretta a vendere la proprietà della società. E fallì anche la carriera di Michael Cimino, per sempre bollato come regista egomaniaco e produttivamente inaffidabile.

Da lì cambiarono molto cose, e soprattutto cambiò Michael Cimino. Proprio fisicamente. Cominciarono a girare voci incontrollate: e cioè che non solo si fosse sottoposto a interventi di chirurgia plastica, ma che addirittura avesse cambiato sesso. A quel punto anche la sua età cominciò a oscillare. Infatti, nella prima intervista che rilasciò dopo molti anni a Vanity Fair nel 2002, al giornalista Steve Garbarino mostrò una fotocopia del passaporto sulla quale la sua data di nascita risultava il 1952. Anche il suo comportamento divenne singolare. Ricordava Joe D’Agostino, montatore dell’ultimo film che diresse, Verso il sole: “Un po’ inquietante: fui portato in questa sala di montaggio oscurata con tende di velluto nero, e c’era questo ragazzo curvo. Tutti parlavano a bassa voce: lui aveva qualcosa che gli copriva il viso, un fazzoletto. E a nessuno è stato dato il permesso di riprendere la sua immagine”.

Fatta la tara a questi aspetti bizzarri d’una personalità sicuramente fuori dell’ordinario, va detto che Il cacciatore e I cancelli del cielo restano tra i grandi capolavori della stagione della New Hollywood degli anni Settanta, un periodo di grande creatività, in cui fu data molta libertà ai nuovi talentuosi registi, i Coppola, Scorsese, De Palma, Spielberg. E Michael Cimino: che col suo fallimento però diede l’opportunità agli studios di cambiare strategia e limitare sensibilmente l’autonomia degli autori, segnando la fine di quella feconda fase del cinema americano.

Il risultato fu che la critica americana cominciò a snobbarlo: da un lato per il non perdonabile, in una società competitiva come quella statunitense, insuccesso commerciale; dall’altro perché I cancelli del cielo era un ritratto molto critico delle origini del capitalismo americano. Di contro in Europa Michael Cimino divenne il campione di una critica idealista che vedeva in lui il perfetto esemplare dell’artista integrale stritolato dagli ingranaggi della macchina hollywoodiana votata solo al profitto. Un artista anche megalomane e maledetto, certo, ma proprio per questo ancora più grande.

Prima del dittico che lo avrebbe portato sull’altare e nella polvere, Michael Cimino aveva scritto due sceneggiature – 2002: la seconda odissea (1972, di Douglas Trumbull) e, insieme a John Milius, Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan (1973, di Ted Post) – e aveva esordito alla regia con Una calibro 20 per lo specialista (1974), con Clint Eastwood e un giovane Jeff Bridges, opera dal tono assai personale tra gangster film e road movie. Dopo I cancelli del cielo invece firmò altri quattro film, nessuno dei quali però gli consentì di riacciuffare la fama di un tempo. E sono film dai risultati altalenanti.

Bello e teso L’anno del dragone (1985), con Mickey Rourke nella parte di un poliziotto-sceriffo di origini polacche e trascorsi in Vietnam che vuole riportare l’ordine a Chinatown: il film sollevò un polverone perché fu tacciato di razzismo, mentre era solo intelligentemente ambiguo. Meno convincente Il siciliano (1987), una rilettura della vita di Salvatore Giuliano storicamente piuttosto inattendibile, aggravata dall’immoto protagonista, Christopher Lambert. Di onesto professionismo Ore disperate (1990), remake con Mickey Rourke e Anthony Hopkins del film omonimo del 1955 di William Wyler. L’ultimo film, che Michael Cimino diresse vent’anni fa, fu Verso il sole (1996): un western contemporaneo che racconta di un navajo criminale e malato terminale (Jon Seda) che, preso in ostaggio un medico (Woody Harrelson), si dirige verso le montagne sacre del Colorado, dove è certo di poter guarire. Un’opera grandiosa e misticheggiante, fiduciosa dei valori dell’umanesimo e della forza visionaria del cinema.

Una delle ultime volte in cui si vide Michael Cimino fu al festival di Venezia del 2012: venne proiettata la versione di 219 minuti de I cancelli del cielo e il regista venne premiato dal direttore del festival Alberto Barbera, che considerava il destino subito dal film “una delle più grandi ingiustizie nel mondo del cinema”. Solo l’anno scorso il festival di Locarno aveva omaggiato Michael Cimino con il Pardo d’oro: in quell’occasione il direttore Carlo Chatrian disse che i suoi film sono “duri e maestosi come la pietra delle montagne americane”. E come tali, certamente, sono destinati a restare nella storia del cinema.