Where to Invade Next: per tre giorni al cinema il documentario di Michael Moore

Nexo Digital distribuisce nei cinema fino all’11 maggio l’ultimo lavoro di Moore. Stavolta è in Europa a caccia di buone pratiche da importare in America. Lo stile è sempre partigiano e sarcastico. Ma con gli anni il regista s’è addolcito: e domina un tono elegiaco, più sentimentale che politico.

Where to Invade Next di Michael Moore

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In Where to Invade Next Michael Moore “invade” l’Europa alla ricerca di buone pratiche da importare negli Stati Uniti. Il primo paese visitato è l’Italia, ritratto come il paese di Bengodi. Una coppia favoleggia di ferie pagate, viaggi continui, maternità retribuita, tredicesime. Gli improbabili titolari di un’azienda invece dicono: “è un piacere pagare i dipendenti”, “a cosa serve essere più ricchi, è più importante il rapporto umano coi dipendenti”.

L’Italia di Moore è il paese visto da un americano: vespa da Vacanze romane, buon cibo e tarantella. Infatti la voce che intona Volare è quella italoamericana di Dean Martin, a sottolineare il filtro parziale del suo sguardo. Non va però dimenticato che Moore gioca da sempre a interpretare il “superficiale uomo qualunque della working class”, come ha scritto il critico del New York Times, in cui l’aria volutamente naïf del personaggio serve a veicolare un punto di vista grottesco ma non banale sulla realtà.

La cadenza, certo, pencola paurosamente verso la propaganda: ma per Moore il tono acido e satirico è la risposta alla ben più falsificante propaganda dell’establishment. A Where to Invade Next semmai manca un nemico perfetto alla George W. Bush, che giustificava immediatamente il suo approccio unilaterale.

Moore inanella un paese europeo dopo l’altro – più la Tunisia della Rivoluzione dei Gelsomini – e scopre un continente delle meraviglie senza precariato, crisi economica, questione migranti. Tutti parlano di godersi la vita e amore universale, manco fossimo in un documentario new age sul senso della vita. I luoghi comuni abbondano, dalla Francia del camembert nelle mense scolastiche alla Finlandia eccellenza didattica perché ha abolito i compiti a casa.

La finzione del corpulento americano qualunque consente però al Moore di Where to Invade Next di veicolare chiavi di lettura non scontate dei fenomeni sociali. Quando parla della Germania – con una battuta memorabile: “ho trovato una cosa che non esiste in America, la classe media” – racconta un paese risorto dalle ceneri anche grazie al confronto col proprio passato ingombrante. E quando incensa il sistema carcerario norvegese non arretra di fronte al caso Breivik e intervista il padre di una vittima, in bocca al quale il rispetto per la vita non può che suonare autentico.

Where to Invade Next è il solito miscuglio d’intelligenza e parzialità alla Moore e chi incensava il regista di Bowling a Columbine e Fahrenheit 9/11 non può adesso lamentarne le semplificazioni che sono al cuore del suo smaliziato modello narrativo – ma di cui non sono l’unica pietanza. E poiché gli anni passano – e i presidenti e le crisi finanziarie –, questo film mostra un tono meno aggressivo, persino malinconico. Basti pensare all’episodio del Muro di Berlino in cui Moore ricorda con un amico i giorni del 1989 in cui parteciparono all’abbattimento del simbolo della guerra fredda.

Il film scopre che quasi tutte le buone pratiche europee, welfare, carcerazione riabilitativa, festa dei lavoratori, diritti delle donne sono idee importate dagli Stati Uniti. Moore non chiede che un ritorno al passato. Where to Invade Next, insomma, è un’elegia, più sentimentale che politica.