La scomparsa di Sir George Martin, leggendario produttore dei Beatles

Sir George Martin

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Oggi il mondo intero piange la scomparsa di Sir George Martin, importante nome del panorama musicale mondiale.

Quincy Jones, Phil Spector, Brian Eno, Eddie Kramer, Nigel Godrich, Trevorn Horn, Steve Lipson, Mark Ronson: sono solo alcuni dei nomi dei più straordinari produttori e arrangiatori della storia del pop-rock internazionale. Amati in tutto il mondo, idolatrati da legioni di artisti. Nonostante la loro indiscussa grandezza e la loro ampiezza espressiva, nessuno di questi producers ha generato un impatto creativo, discografico, commerciale e sociale pari a quello di Sir George Martin, il leggendario produttore dei Beatles, scomparso in queste ultime ore.

È praticamente impossibile scindere la figura di Martin da quella di John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr. Nel 1962, l’irrefrenabile manager dei Beatles Brian Epstein si recò spesso a Londra allacciando contatti con le case discografiche e presentando “i suoi ragazzi” ai dirigenti degli uffici artistici cui facevano capo le principali etichette europee. Fu proprio durante uno di questi viaggi nella capitale inglese che il manager incontrò il suo amico Robert Boast nella sede della HMV e il tecnico-audio Jim Foy: fu quest’ultimo ad indirizzarlo a Sid Colman delle edizioni musicali Ardmore & Beechwood. Sia Colman che Foy – entrambi nelle fila del colosso discografico EMI – consigliarono a Brian Epstein di contattare immediatamente George Martin, produttore e direttore artistico della Parlophone Records, piccola ma vivace consociata del gruppo EMI.

Nel corso di un incontro tra Martin ed Epstein, il produttore della Parlophone dimostrò un interesse per il sound dei Beatles, che ebbe modo di ascoltare dai dischi che riproducevano i brani da loro eseguiti nel corso di una sfortunata audizione.

La curiosità espressa da Martin per quei giovani musicisti si tradusse in un incontro – fissato per il 6 giugno 1962 – durante il quale il produttore avrebbe conosciuto il quartetto di Liverpool nei londinesi EMI Studios di Abbey Road.

L’immediata simpatia che legò i Beatles a Martin nascondeva, però, l’ingrata prospettiva di dover sostituire Pete Best, ritenuto dal produttore londinese non perfettamente integrato nel sound complessivo del quartetto. Si decise di convocare Richard Starkey, in arte Ringo Starr. Ed è stato proprio il batterista del quartetto ad annunciare – con un tweet – la notizia della scomparsa di Martin.

Nel corso degli anni, George Martin si sarebbe trasformato nell’unico, autentico “quinto Beatle”: il suo contributo all’interno della macchina-Beatles è indiscutibile, in termini di qualità e forza artistica.

Ventitré singoli al primo posto delle charts statunitensi, trenta dischi a 45 giri in testa alle classifiche inglesi, il cavalierato e il titolo di ‘Sir’ conferitigli dalla Regina Elisabetta II, una nomination all’Oscar per la soundtrack di A Hard Day’s Night, una colonna sonora ‘al servizio di James Bond’ nel 1973 con Live and Let Die, la produzione di dischi leggendari degli America e dei Bee Gees, la versione di “Candle in the Wind” realizzata con Elton John nel ricordo di Lady Diana, l’album del commiato “In My Life” e l’ennesimo Grammy conquistato negli anni Duemila per il gigantesco e innovativo collage sonoro “Love”, in scena a Las Vegas: questi i numeri di una carriera straordinaria.

Il suo disco dei Beatles preferito era “Abbey Road”, che prendeva il titolo proprio da quel luogo che aveva fatto da sfondo all’incontro con i Beatles.

“Sono rimasto piuttosto sorpreso quando Paul mi ha telefonato dicendo: ‘Stiamo per fare un altro disco: ti piacerebbe produrlo?’. Ho risposto subito: ‘Solo se mi lasciate produrlo come ai vecchi tempi’. E lui: ‘Lo faremo, lo vogliamo’”: il ricordo del ‘quinto Beatle’ per eccellenza, George Martin, testimonia il desiderio dei Beatles di voler intraprendere un nuovo, ambizioso progetto musicale. Il miracolo avvenne: incredibilmente, Abbey Road risultò essere uno dei migliori lavori discografici dell’intera produzione della band. Inequivocabilmente intenso ed incisivo, l’ultimo 33 giri registrato dal quartetto di Liverpool è caratterizzato da una straordinaria compattezza espressiva: questi elementi hanno trasformato Abbey Road nel progetto “collettivo” più importante per i Beatles, accanto a Sgt. Pepper, Revolver e Rubber Soul.

 

[tratto da “LOVE – Le Canzoni d’Amore dei Beatles” di Michelangelo Iossa]