L’abbiamo fatta grossa: che delusione il film con Verdone e Albanese

Sulla carta era intrigante l’idea di una commedia in salsa thriller con una coppia composta da due attori di forte personalità e grandi tempi comici. Ma il nuovo film di Verdone è tutto sbagliato: la commedia non diverte e il thriller in realtà è una vecchia farsa travestita. Un’occasione sprecata.

L’abbiamo fatta grossa con Verdone e Albanese

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Il trailer di L’abbiamo fatta grossa, con Carlo Verdone (anche regista) e Antonio Albanese, sembra quello di un cinepanettone (è pur sempre una produzione della Filmauro di Aurelio De Laurentiis). E allora, come fossimo in un Boldi-De Sica d’annata, il prossimamente ci delizia con battute su organi sessuali spropositati, escrementi e gag sugli omosessuali.

I timori quindi erano tantissimi. In realtà, e fortunatamente, L’abbiamo fatta grossa è un classico buddy movie, giocato sul contrasto di caratteri di due attori di forte personalità e notevoli tempi comici, inseriti in una trama con le cadenze d’un thriller – quindi per la sceneggiatura Verdone, oltre al sodale Pasquale Plastino, è ricorso alla collaborazione di Massimo Gaudioso, autore degli script di film più “duri” come L’imbalsamatore, Gomorra, Tatanka.

Al centro di L’abbiamo fatta grossa c’è lo sfigatissimo investigatore Arturo Merlino (Verdone) che vive a casa della zia vedova e si dibatte in casi emozionanti come il ritrovamento del gatto d’un generale in pensione (affettuoso cameo del grande vecchio Giuliano Montaldo). Yuri Pelegatti (Albanese) è un attore traumatizzato dall’abbandono della moglie che non riesce più a mandare un copione a memoria. Chiede a Merlino di pedinarla per certificarne il tradimento: l’investigatore, per un equivoco, intercetta una conversazione di un’altra coppia, che parla d’una misteriosa valigetta. Che Merlino e Pelegatti sottraggono: all’interno c’è un milione di euro, proprietà di un minaccioso individuo (Massimo Popolizio), che sguinzaglia i suoi scagnozzi alla caccia del malcapitato duo.

I film recenti di Verdone partono tutti da notazioni d’ambiente realistico, per mettere in luce una crisi collettiva di valori che si riflette nella crisi dei personaggi principali, sempre uomini di mezza età in difficoltà: i tre professionisti precari di Posti in piedi in Paradiso, costretti a ripensarsi dalle fondamenta; il broker di Sotto una buona stella che perde compagna e lavoro e si ritrova figli e nipote sulle spalle. L’abbiamo fatta grossa non fa eccezione e gli inetti Merlino e Pelegatti vanno a ingrossare la galleria di ritratti di maschi italiani travolti dalla vita.

Ma è solo lo spunto iniziale d’un film che invece del tono agrodolce sceglie di puntare tutto sulla vistosità comica in salsa thriller. E duole dirlo, trattandosi di un autore stimato come Verdone, i risultati sono modesti: l’intesa tra i due attori non scatta e la commedia si impantana tra battute poco pungenti e gag prive di ritmo. Non va meglio sul versante del thriller, che è piuttosto una farsa o un vaudeville travestito, col vecchissimo espediente dei protagonisti costretti tutto il tempo a rincorrere qualcosa che gli sfugge (qui il milione da restituire al criminale).

L’abbiamo fatta grossa è un film sbagliato, aggravato da una durata eccessiva, quasi due ore, e da un incongruo finale “impegnato”, che testimonia la confusione di fondo dell’operazione. Suggellata dalla didascalia finale: “I personaggi e la storia sono immaginari, è autentica la realtà che li produce”. Citazione quasi letterale di quella de Le mani sulla città di Francesco Rosi. Addirittura.