Certo San Bernardino, California, è più lontana di Parigi, ma resto comunque molto sconcertato. Mentre ancora gli attentati di Parigi erano in corso già fiorivano sul web i #jesuisparis, #jesuisbataclan ed i profili si ammantavano di tricolore. A San Bernardino l’assalto criminale è finito da tempo ma non ho visto ancora sventolare i colori della bandiera USA, né scritte del tipo #iamsanbernardino. Eppure il delitto commesso da Syed Rizwan Farook e sua moglie Tashfeen Malik è altrettanto grave. Ci stiamo forse abituando alla normalità del terrore? I morti americani sono meno importanti di quelli parigini? Scrivere San Bernardino è meno chic di Place de la Republique?
Temo che questa strage sia già vista e per questo poco emozionante. Gli Stati Uniti con frequenza allucinante ripropongono questi massacri che, come a San Bernardino, avvengono sovente in strutture educative, sociali, ricreative. Cosa avrà armato i due killer: l’odio religioso, razziale, economico? San Bernardino è il vortice inquieto di una coscienza sociale sempre più incapace di governare la complessità del mondo contemporaneo.
Si spara contro coloro con i quali abbiamo vissuto e lavorato fino a poche ore prima ma che sentiamo irrimediabilmente diversi da noi. E’ il dramma di un tempo d’interconnessione globale ma desertificato nelle relazioni interpersonali. A San Bernardino, i due assassini-suicidi erano ben consapevoli che avrebbe troncato l’esistenza propria ed altrui. Ma non hanno esitato a scatenare l’inferno. La religione, la razza sono lo squallido pretesto per una povertà umana inquietante che potrebbe risucchiare tutti noi. Così come il commercio disinvolto delle armi garantito persino dalla Costituzione negli Stati Uniti d’America.
Forse per questo non scriviamo #iamsanbernardino, perché temiamo che primo poi anche a noi potrebbe venire la voglia di uccidere e farci uccidere; di sparare a zero su tutto quello che non siamo riusciti a realizzare nella nostra vita o su coloro che non abbiamo saputo accettare e comprendere