Lo chiamavano Trinità: in tv c’è il west fracassone di Bud Spencer e Terence Hill

Appuntamento alle 21.15 su Rete 4 con il western a suon di sganassoni della coppia d’oro del cinema italiano. Con questo film lo spaghetti-western passa dai toni nostalgici di Sergio Leone alla parodia. Fu un grande successo, apice e canto del cigno di un cinema popolare che non esiste più.

Lo chiamavano Trinità con Bud Spencer e Terence Hill

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Lo chiamavano Trinità è un punto di non ritorno nella storia scombiccherata e appassionante dello spaghetti-western. Con questo grandissimo successo, diretto da E.B. Clucher e interpretato da Terence Hill e Bud Spencer (nomi americani ma tutti italianissimi), il genere passa dalle pistole agli sganassoni, destinandolo a un pubblico di adolescenti e non più di adulti. I protagonisti Trinità e Bambino, infatti, pur essendo pistoleri provetti, per aiutare la pacifica comunità di mormoni angariata dal cattivo di turno, sono ben lieti di abbandonare le armi e risolvere la questione “da uomini”, a mani nude.

Dietro Lo chiamavano Trinità si profila l’onda lunga di una variante del western statunitense che da diversi anni aveva conquistato le platee non solo italiane, grazie soprattutto all’exploit di Sergio Leone con la trilogia del dollaro. Un’affermazione la sua talmente grandiosa da far dimenticare che, in realtà, lo spaghetti-western non era nato in Italia ma, come gli storici del cinema hanno ricordato, aveva dei precedenti, in Spagna con Joaquín Romero Marchent e in Germania col produttore Horst Wendlandt, che ebbe l’idea di riadattare i racconti di frontiera di Karl May, uno scrittore tedesco appassionato di west, popolare in patria a cavallo tra Otto e Novecento.

Si trattò quindi di un trapianto di un genere cinematografico prettamente americano in una realtà culturalmente diversa. Ma fu un innesto senza rigetto, anche perché il western, pur non appartenendo alla nostra tradizione, era diventato patrimonio condiviso grazie alla forza produttiva e iconica del cinema hollywoodiano, fondamentale per la strutturazione dell’immaginario dello spettatore italiano ed europeo. Non a caso in Bellissima (1951), il regista Luchino Visconti mostra il pubblico d’una sala all’aperto che sta guardando un classico con John Wayne, Il fiume rosso.

Lo spaghetti-western fu un gran calderone stilistico, che prese il genere di partenza e lo sottopose a riscritture di ogni tipo: film parodico-nostalgici alla Leone, la variante palesemente comica alla Trinità, western politici di sinistra (spesso scritti da Franco Solinas e interpretati da Gian Maria Volonté). Un processo che a ben vedere rientra a pieno titolo in quel processo di ripensamento dei generi già in corso da tempo nella patria del western: ancor prima che in un iconoclasta (malinconico) come Peckinpah, in un padre fondatore come Howard Hawks, che amava mescolare i toni drammatici delle storie di cowboys con la leggerezza briosa della commedia. Proprio in Lo chiamavano Trinità, le divertenti scene in cui Terence Hill ferma il sangue da una ferita con un dito oppure si fa un bagno per scrostarsi di dosso strati di sudiciume, sembrano citazioni di due film di Hawks, rispettivamente El Dorado e Un dollaro d’onore.

Il sapore ridanciano di Lo chiamavano Trinità quindi, non è in assoluto una novità: lo stesso Leone lo impiegava a piene mani, però riassorbendolo in un predominante tono malinconico e mitologizzante, dal quale Trinità si tiene lontano, mettendo tutto su un piano esplicitamente farsesco. Il risultato è una vera e propria parodia, che fa propri certi stilemi leoniani – la dilatazione temporale dell’azione, l’ambientazione di sapore messicano, l’infallibilità proverbiale del killer – però esasperandoli e funzionalizzandoli all’effetto comico.

La spezia dell’ironia leoniana nello spaghetti-western alla Trinità diventa condimento esclusivo, servito dalla più classica delle coppie comiche: Spencer e Hill (già insieme nei film di Giuseppe Colizzi), ossia il grasso e il magro, il brutto e il bello, il gigante brontolone e il gaglioffo fascinoso.

Lo chiamavano Trinità, con seguiti ed epigoni, costituì l’apice e il tramonto del genere, in pochi anni spazzato via dalla crisi dell’industria cinematografica italiana e il drastico ridimensionamento di quel pubblico popolare che aveva tenuto in vita peplum e musicarelli, poliziotteschi e decamerotici. Ma prima della fine, lo spaghetti western produsse un film che era come un canto del cigno, e la quadratura del cerchio: Il mio nome è nessuno, prodotto ovviamente da Leone, in cui recitavano Terence Hill ed Henry Fonda. Vale a dire il campione del genere parodico e una leggenda vivente di Hollywood, circonfusa dell’aura mitica dei western di John Ford e William Wellman.

Questo a dimostrazione del fatto che la variante spaghetti non poteva essere ridotta a una parentesi insignificante nella storia del western, di cui era un figlio legittimo capace di dialogare col genere maggiore e anche di emanciparsene (sull’autonomia del western italiano insiste il bel libro recente di Alberto Pezzotta). I cortocircuiti tra Stati Uniti e Italia sono confermati da diversi western americani degli anni Settanta, Impiccalo più in alto, Io sono la legge, i film diretti da Clint Eastwood naturalmente, che inglobano espedienti stilistici e narrativi provenienti dall’altro lato dell’oceano. Influenze sempre ammesse anche dal cinefilo Quentin Tarantino, il più “spaghetti” tra i cineasti statunitensi, il cui prossimo film, guarda caso, è un altro western, The Hateful Eight.