Inside Out: nella vita ci vuole Gioia (e un pizzico di Tristezza)

Il nuovo film d’animazione della Pixar entra nel cervello d’una ragazzina. Nel quale ci sono cinque emozioni che sovrintendono al suo comportamento. Ma così la protagonista sembra un burattino senza volontà, in balia di forze esterne. E se "Inside Out" fosse un’allegoria pessimista dei nostri tempi?

Inside Out nuovo film Pixar Disney

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Cosa c’è di più appassionante del cervello umano? I neurologi lo sanno da tempo, il cinema se n’è accorto da qualche anno. Soprattutto autori come Christopher Nolan: con Memento, thriller a scatole cinesi sorretto dai vuoti di memoria d’un cervello malato, e Inception, onirico action movie che s’inabissa in una psiche che ha la struttura d’un sogno dentro un sogno.

Viaggio allucinante si chiamava poi un avvincente film di fantascienza, in cui medici miniaturizzati entravano nel corpo d’un uomo per operarlo al cervello. Nel corpo umano è entrato anche Woody Allen, in Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso: altro che materia grigia però, a lui interessava il funzionamento delle parti basse d’un maschio molto su di giri – e Allen, manco a dirlo, faceva la parte d’uno spermatozoo.

Inside Out però è un film d’animazione per bambini targato Pixar-Disney, e quindi risale giudiziosamente fino all’organo deputato alle funzioni superiori. Di cui esplora le dinamiche per raccontare la storia di Riley, figlia unica undicenne d’una coppia che s’è appena trasferita dal Minnesota a San Francisco. La ragazzina è comprensibilmente spaventata dal cambiamento: e lo sono soprattutto le emozioni che dalla cabina di comando cerebrale sovrintendono al suo umore, Gioia, Tristezza, Paura, Rabbia e Disgusto, sempre indaffarate tra leve, bottoni e ricordi a forma di sfere colorate da catalogare.

Per un caso sfortunato, Tristezza e Gioia (l’emozione guida della bambina felice Riley) vengono espulse dal centro di controllo, e la ragazzina sprofonda in uno stato d’abulia, allarmando i genitori. Bisogna rientrare al quartier generale per tornare a far sorridere Riley. Impresa difficile, perché le due emozioni sono catapultate nel multiforme mondo cerebrale: con le Isole della personalità (ognuna rappresenta un tratto fondamentale del carattere di Riley, ma a causa dello stato depressivo stanno crollando una dopo l’altra), il subconscio (antro da film horror con pupazzone semidormiente), l’area del pensiero astratto (in cui, come in un incubo surreal-cubista, ogni idea assume forma bidimensionale), la Cineproduzione (l’area demandata all’attività onirica, che ha ovviamente le fattezze della “fabbrica dei sogni” hollywoodiana), la discarica dei ricordi (allarmante buco nero in cui finiscono e si sbriciolano le memorie superflue).

In Inside Out il cervello viene dunque ritratto come un universo complesso e in perenne mutamento, specchio d’una capacità adattiva che senza sentimentalismi elimina il superfluo e seleziona quanto necessario alla sopravvivenza psichica. Una struttura straordinariamente duttile, di cui è un esempio il Treno dei pensieri, che si muove nell’ambiente cerebrale spostandosi su binari autogenerati, che fanno pensare alla plasticità delle sinapsi neuronali. E proprio il treno rappresenta la sola possibilità per Gioia e Tristezza di rimettere piede al centro di controllo, aiutati da Bing Bong, l’amico immaginario dell’infanzia di Riley il quale, poiché lei è cresciuta, vaga solo e desolato nei meandri del cervello.

La vera protagonista di Inside Out non è Riley ma Gioia, che come la Dorothy de Il mago di Oz cerca una via che la riporti a casa. E se Dorothy aveva l’Uomo di latta, il Leone e lo Spaventapasseri, così Gioia ha Bing Bong e Tristezza, che la aiutano in un viaggio metaforico alla ricerca del proprio posto nel mondo (soprattutto Tristezza, l’unica delle cinque emozioni che “non sa bene quale sia il suo ruolo”). Il percorso è lastricato di prove indispensabili alla crescita e il ritorno a casa è segnato da una consapevolezza più matura. Grazie alla quale Gioia comprende che anche Tristezza è essenziale alla sopravvivenza e che la realtà è ricca di sfumature, come le sfere dei ricordi non più monocrome ma con i colori di tutte le emozioni.

La struttura fiabesca è avvincente e offre molteplici livelli di lettura, che catturano l’attenzione di adulti e bambini. Le perplessità riguardano Riley, i cui comportamenti, legati alle decisioni prese dalle emozioni, non sembrano espressione di un temperamento autonomo, bensì reazioni meccaniche a impulsi sottratti alla sua volontà. Una volta che le cinque emozioni, Gioia soprattutto, sono delineate come personaggi dal carattere indipendente, la ragazzina si trasforma in un burattino inconsapevole che risponde passivamente a sollecitazioni esterne.

E se Inside Out fosse un’allegoria pessimista dei nostri tempi? Un film che svela l’ambizione inconfessabile della fabbrica dei sogni (e pure di altre fabbriche, se è per questo): il controllo delle emozioni degli spettatori, ai quali servire storie che prevedano reazioni programmate a tavolino attraverso un rigoroso sistema stimolo-risposta. Un cinema pavloviano nel quale ridere e piangere (e magari anche acquistare il biglietto, come piacerebbe ai produttori) rigorosamente a comando.