Un docufilm su Villeneuve, un progetto su Milano e un libro su suo padre. Tempestato dalle domande dei ragazzi del Giffoni Experience nell’incontro incentrato sul documentario I bambini sanno, Walter Veltroni dà anticipazioni sui progetti futuri. Un documentario su Gilles Villeneuve, il pilota di formula uno scomparso in un tragico volo, “perché fu come un volo, gli si staccarono le cinture di sicurezza e fu sbalzato fuori dall’automobile”. A settembre poi uscirà un film collettivo su Milano, cui Veltroni ha partecipato. E infine, “poiché mi piace fare cose diverse, ho appena finito di scrivere un libro su mio padre, che non ho praticamente conosciuto, perché quando lui è morto a 37 anni io avevo solo un anno”.
Si è parlato molto di cinema e politica a Giffoni nella sala Truffaut, un regista carissimo a Veltroni, di cui ne I bambini sanno viene citato il celebre finale della corsa verso il mare de I 400 colpi. “Il mio documentario si basa su tre elementi fondamentali – ha aggiunto l’ex sindaco di Roma. Primo: i bambini non sapevano quello che gli avrei chiesto, e questo li ha aiutati a essere spontanei. Secondo: ho scelto di riprenderli nelle loro camerette, indispensabile anche per capire le differenze tra loro, perché ci sono bambini poveri e altri benestanti. Terzo elemento: l’assenza dei genitori. I bambini normalmente cercano la loro approvazione e infatti, in loro assenza, hanno cercato conferme da me. Ma io non l’ho fatto, li ho voluti lasciare completamente liberi di esprimere se stessi”.
Una battuta anche sul suo primo lavoro, Quando c’era Berlinguer. “Mi sono imbattuto non solo in ragazzi, ma persino in adulti che non conoscevano Berlinguer. Non si tratta semplicemente di disinteresse verso la politica: è un fenomeno più ampio, che ha a che vedere con una cosa che mi spaventa molto, la perdita della memoria. È la ragione per cui scrivo libri e faccio film: perché se noi accettiamo che la memoria venga meno siamo finiti. Certo, dipende dal fatto che viviamo in un’epoca caratterizzata da un’estrema velocità, ma c’è il rischio della perdita di senso. Stiamo diventando una società dell’Alzheimer. Per questo ho voluto ricordare la politica pulita di Berlinguer.
L’analisi della contemporaneità va ancora più a fondo: “La nostra è davvero un’epoca senza precedenti, mutata a grandissima velocità. Questo ha reso la società molto precaria, sul lavoro, nei sentimenti, nei valori. Dobbiamo assolutamente recuperare i valori, per non ripiegarci in una forma di egoismo. Non chiudiamoci nel selfie, che prendo come un simbolo di un’idea esasperata di individualità. Ricordo che ai miei tempi mi impegnavo per il Vietnam, il Cile, perché quelle cose mi ferivano e sentivo l’obbligo di fare qualcosa. Oggi purtroppo tendiamo a chiuderci in noi stessi. Qui emerge il bisogno di politica, una politica che sappia ritrovare la speranza. Ma per questo ci vogliono statisti che posseggano una visione e dei valori. Persone come Roosevelt, Kennedy, De Gasperi, ovviamente Berlinguer. Un mix di qualità umane, onestà, trasparenza e visione. Perché la politica non è una parolaccia. E nemmeno il potere: lo diventa soltanto quando, invece che usato come un mezzo, si trasforma nel fine dell’agire politico”.