Fast & Furious 7: l’addio a Paul Walker

La tragica morte del protagonista della saga ha trasformato il nuovo episodio in un omaggio all’attore scomparso. Così dietro l’action movie compare un tono elegiaco di fondo. Ed è il segreto del successo della serie, che parla di tradizioni e legami di sangue, incarnati sempre dagli stessi attori.

Fast & Furious 7 addio protagonista Paul Walker

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Fast & Furious è il serial cinematografico di maggior successo degli ultimi 15 anni, con 6 episodi e quasi 2 miliardi e mezzo di dollari incassati. Ripetitività e ricorrenza dei personaggi portano queste saghe cinematografiche che si snodano attraverso diversi film ad assomigliare sempre più alle serie televisive, da cui importano modelli narrativi, intrecci, l’uso della temporalità.

I due mondi, tv e grande schermo, quindi, si avvicinano progressivamente nel nome della serialità, che ispira le strategie di storytelling contemporaneo. E uno dei più antichi espedienti delle serie televisive è la morte di un personaggio: per movimentare il racconto, per eliminare un protagonista sgradito agli spettatori, per creare colpi di scena, facendo ricomparire il presunto defunto in futuro.

A Fast & Furious è accaduto proprio questo: ma è stata la realtà ad assumersi il compito di scrivere la sceneggiatura, attraverso la vera morte di uno dei protagonisti più amati, Paul Walker. Ironia della sorte, in un incidente d’auto.

Tutto ciò ha trasformato Fast & Furious 7 in un oggetto difficilmente classificabile: un action movie adrenalinico tutto inseguimenti, esplosioni, risse fumettistiche tra nerboruti infrangibili, con però un tono elegiaco di fondo che si riattiva a ogni inquadratura di Walker. Anche perché, per terminare il film, ancora in lavorazione al momento della sua morte, è stato necessario ricorrere a controfigure (coinvolti pure due fratelli di Walker) e al sapiente uso di effetti digitali. Così viene spesso da chiedersi in quali sequenze l’attore sia presente e dove invece si tratti di un puro effetto illusionistico.

Il fatto significativo è che l’accento sentimentale, palese nel finale in cui tutto il cast saluta l’amico scomparso, si sposa perfettamente con le caratteristiche fondanti di questa saga singolare, la cui forza sta nell’unità del gruppo: dagli attori, a partire dal leader Vin Diesel, ai professionisti coinvolti nella produzione, che tornano spesso di film in film.

È la ragione per cui la battuta pronunciata da Toretto-Diesel, “Io non ho amici. Io ho una famiglia”, suona credibile. Lo spettatore, cioè, percepisce che la morale di Fast & Furious, fatta di tradizione, legami di sangue e spirito di sacrificio (infatti gli scontri ricominciano perché il cattivo Jason Statham distrugge la “casa” del gruppo, simbolo della loro unione fraterna) è la stessa dentro e fuori lo schermo. E quanto accaduto a Walker, con la reazione attivata dalla macchina produttiva e affettiva di Fast & Furious, ha puntualmente confermato questa impressione.

Non c’è un altro serial cinematografico di questo tipo. Basti pensare a James Bond, dove tutto è sottoposto a disinvolte logiche produttive per le quali ogni cosa, protagonista compreso, è intercambiabile. In Fast & Furious il brand invece è graniticamente legato a facce e valori non negoziabili. Il successo deriva dalla fedeltà dei protagonisti non alle storie, fracassone e improbabili come tante altre, ma a quel mondo di affetti, rozzo e ingenuo, in cui il fan percepisce, forse illudendosi, un barlume di autenticità non recitata.