Fast & Furious 9 – The Fast Saga (F9: The Fast Saga, 2021) è lontano dai numeri stratosferici del predecessore. L’ottavo episodio uscito nel 2017 segnò quello che allora costituì un record assoluto (poi superato dall’asso pigliatutto Avengers: Endgame), ossia il maggiore incasso globale al primo weekend, 541 milioni di dollari e una corsa che si arrestò a 1 miliardo e 236 milioni totali. Stavolta invece siamo, per un film uscito in patria a fine giugno e da noi lanciato dal 2 agosto in anteprima, a 642 milioni. E sebbene la flessione sia da imputare principalmente agli effetti della pandemia, viene da pensare che non dipenda solo da quello. Va considerata cioè l’ipotesi che uno dei franchise più redditizi della storia del cinema (6,5 miliardi complessivi al botteghino, mettendo nel computo anche lo spin-off Hobbs & Shaw) cominci a mostrare la corda.
Il che è probabile, vista l’esilità di un film che si limita a girare in loop sugli stessi temi continuamente ribaditi, senza sostanziali novità. Al punto che a sintetizzare il senso di un’opera fragorosa e ipercinetica di quasi due ore e mezza di durata basta e avanza una sola battuta. A pronunciarla, non potrebbe essere altrimenti, è il protagonista indiscusso della saga Dominic Toretto (Vin Diesel): “Andrà tutto bene, perché siamo una famiglia”.
L’andrà tutto bene, ossia il fatto che il pubblico sa che nessuno dei protagonisti potrebbe mai, non dico morire, ma almeno farsi una scalfittura, è un elemento talmente acclarato e paradossale che persino gli sceneggiatori, con un minimo di senso della realtà e dell’ironia, hanno cominciato a scherzarci su, attraverso le schermaglie dei due personaggi cui è demandata la linea comica della serie, Tyrese Gibson e Chris Ludacris Bridges. I quali in Fast & Furious 9 s’interrogano sul come sia possibile che il gruppo esca sempre senza un graffio dalle avventure più improbabili, in cui il mondo, tranne loro, pare letteralmente collassare su sé stesso.
L’altra metà della frase, manco a farlo apposta, torna ossessivamente sul mantra della serie, la sacralità di una famiglia molto allargata e parecchio sui generis, fondata sui sentimenti e non univocamente sul sangue. Però se nel settimo episodio, il primo dopo la morte di Paul Walker, la sottolineatura dei legami affettivi acquistava una nota autenticamente commovente testimoniata dai toni di un’elegia e un omaggio davvero sentiti all’attore tragicamente scomparso, da allora il poi il richiamo sbandierato ai valori fondativi della serie ha assunto il sapore di un elemento di routine.
E per renderlo in qualche modo credibile, gli autori hanno dovuto architettare vicende che in qualche modo lo ponessero al centro della narrazione. Così l’ottavo episodio ruotava intorno al tema del tradimento, mentre Fast & Furious 9 mette in scena il conflitto tra Dominic e il fratello ritrovato Jakob (John Cena), con flashback di loro ragazzini negli anni Ottanta, figli di un pilota di corse che muore perché il più giovane fratello, invidioso del fatto che Dominic fosse il preferito del padre, gli avrebbe addirittura manomesso l’auto per farlo schiantare in gara.
Le ambizioni fosche da tragedia potrebbero costituire una chiave interessante, se non fosse che il film diretto con piglio molto professionale da Justin Lin, che mancava dai tempi dell’episodio 6, supera di molto i limiti della verosimiglianza. Fast & Furious 9 è una variazione dalle cadenze sempre più apertamente supereroistiche nella quale, per mantenere alta la tensione, si gioca a un continuo rialzo della posta, con avventure sempre più estreme e sequenze action dalla coreografia lambiccatissima – basti dire che si arriva anche nello spazio, manco a dirlo a bordo di un’automobile.
Per il resto il menu resta lo stesso. C’è la solita minaccia informatica globale tesa a mettere in ginocchio i governi di mezzo mondo, orchestrata stavolta dalla superspia doppio e triplogiochista Jakob, in combutta con un figlio di papà viziato e multimiliardario. C’è l’immancabile andirivieni su tutta la scacchiera globale in un numero imprecisato di paesi. E c’è un cast molto nutrito, che prevede i già noti comprimari di lusso in dei quasi cameo, da Helen Mirren alla supercattiva Charlize Theron a Kurt Russell, con anche qualche ritorno a sorpresa che entusiasmerà i fan della saga.
Tutto però, come dire, è già visto, e non mi riferisco solo a Fast & Furious, ma alle serie action nel loro complesso, da quelle supereroistiche a Bond e a Mission Impossible, tutti più o meno incardinati sui medesimi ingredienti. A fare la differenza, posta l’impeccabilità degli effetti visivi sempre più rutilanti e però anche inevitabilmente monotoni, può essere solo la qualità delle storie, i moventi dei personaggi e le emozioni che ne scaturiscono. E lo stile ruspante e fracassone di Fast & Furious, il suo sembrare quasi un franchise da cinema di serie b in mezzo a produzioni più stilose e leccate, costituiva anche il marchio di fabbrica che riusciva a distinguerlo dalle altre saghe. Ma col lievitare dei costi, e delle aspettative, e con la ripetitività degli schemi narrativi e tematici, la specificità della serie si è persa per strada. La sensazione allora è che si sia giunti al capolinea. Poi invece forse chissà, “andrà tutto bene, perché siamo una famiglia”.