Cinquanta sfumature di grigio: cinema o marketing?

Tratto dalla trilogia di romanzi erotici da cento milioni di copie, il film è una straordinaria operazione pubblicitaria, lanciata furbescamente a San Valentino. Una pellicola patinata con due interpreti belli ma pochissimo dannati. E le tanto attese trasgressioni sessuali sono da sbadigli.

Cinquanta sfumature di grigio cinema o marketing

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Con cento milioni di copie vendute, la trilogia di romanzi firmati da E.L. James delle Cinquanta sfumature (nelle tonalità grigio, nero e rosso) è il fenomeno letterario di questi anni (perlomeno di sociologia della letteratura), che ha sdoganato le perversioni sessuali trasformandole in argomento di conversazione da salotto.

Scontata quindi la trasposizione cinematografica con Dakota Johnson (figlia di Melanie Griffith e Don Johnson) come Anastasia Steele e Jamie Dornan nel ruolo di Christian Grey. La storia è notissima: la timida laureanda in letteratura Anastasia (che però non legge mai) fa un’intervista al giovane tycoon Christian (mai visto un miliardario lavorare così poco). Scatta il colpo di fulmine. Lui la conquista con l’atteggiamento volitivo, le fa regali costosi e la pedina con insistenza da stalker.

I ricchi sono pericolosi: Anastasia, da appassionata lettrice di Tess, il romanzo di Thomas Hardy in cui la protagonista fa una bruttissima fine per amore di Alec, dovrebbe saperlo (nel libro il parallelismo tra le due donne è più esplicito che nel film). Ma l’amore è cieco, o rende ciechi: Anastasia cade nella rete di Christian che, complice un’infanzia di violenze subite, rifiuta l’amore e si eccita col sesso brutale. E lei, progressivamente, cede al gioco perverso.

La grande trovata pubblicitaria è stata lanciare il film a San Valentino: e giù prevedibili critiche sull’inopportunità di far coincidere con la festa degli innamorati una pellicola sul sadomasochismo che propugna un’immagine arcaica e sottomessa della donna. Ma Cinquanta sfumature di grigio è un grandioso prodotto di marketing, più interessante da analizzare in questa prospettiva che in termini di critica cinematografica.

Sotto quel profilo c’è poco da dire: monocordi i protagonisti e pieno di stereotipi il film. Christian si toglie la camicia e resta a torso nudo come nelle pubblicità; per far capire che è sicuro di sé, dà minuziose indicazioni al barman sul cocktail, manco fosse James Bond che ordina il Martini “agitato e non mescolato”; Anastasia invece, virginale, sospira sempre, che lui la baci, leghi o frusti; dopo il sesso lui, malinconico, suona Chopin nella penombra.

Tanti i déjà vu: sensuali cubetti di ghiaccio alla Nove settimane e mezzo, il giro in aliante come arma di seduzione (per superare la “paura di volare”, ardita metafora) rubato a Gioco a due. Di perversioni ce ne sono poche, qualche sculacciata, timide frustate al ralenti. La disposizione degli oggetti di piacere nella sala sadomaso, poi, deve averla fatta un ragioniere: da un lato le manette, dall’altro le fruste in ordine di grandezza.

La storia è volutamente ambigua: Christian dice che non fa l’amore ma “scopa duro”, però oscilla continuamente tra freddezza e tenerezza. Picchia Anastasia ma è sempre premuroso, rifiuta di dormire con lei però va continuamente nella sua camera da letto e, da bravo fidanzato, la porta a cena dai genitori. Un atteggiamento schizofrenico, che però è funzionale al romanticismo della vicenda, rendendo accettabile il trasporto sentimentale della ragazza. Perdutamente innamorata del suo principe azzurro-aguzzino e certa, come tante prima di lei, che riuscirà a cambiarlo.