Men in Black 3: in prima visione tv il terzo episodio della saga con Will Smith

Stasera su Rai Due il nuovo film della scanzonata serie diretta da Barry Sonnenfeld, con Tommy Lee Jones e Josh Brolin. Stavolta la caccia agli alieni porta nei favolosi anni Sessanta, quando l’America era ancora giovane.

Men in Black 3 prima tv film con Will Smith

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Non è strano che Men in Black 3, il terzo episodio della fortunata saga diretta da Barry Sonnenfeld sia tutto ripiegato sul passato: i punti di forza di questa serie non sono mai stati la fantascienza pura o dei fantasmagorici effetti speciali.

Sin dal primo film, MIB ha creato un immaginario retrofuturista, nel quale le innovazioni avveniristiche convivono con una sorta di modernariato di situazioni e simboli. Un frullato di sapore postmodernista, che cita e rimescola oggetti e segni provenienti da altre ere: basti pensare ai repellenti mostri ideati da Rick Baker, che mettono insieme tutte le creature del cinema fantastico americano, dall’Invasione degli ultracorpi di Don Siegel fino ad Alien.

L’immaginario di MIB è quello di un’epoca nutrita di letteratura fantascientifica e viaggi spaziali, grazie ai quali l’avvenire assumeva contorni entusiasmanti e si attendeva impazienti la conquista della nuova frontiera. Un’era che corrisponde principalmente agli anni Cinquanta e Sessanta della storia statunitense. Infatti MIB3 regola sul 1969 le sue lancette, ambientando la storia nella data altamente simbolica del 16 luglio, il giorno della missione lunare Apollo 11, apoteosi del futuro prossimo venturo.

Grazie a un viaggio con la macchina del tempo è lì che si dirige l’agente J (Will Smith), con l’obiettivo di salvare la Terra dalla minaccia dell’alieno Boris (Jemaine Clement), il quale dopo essere fuggito dal carcere si è vendicato dell’agente K (Tommy Lee Jones), che quarant’anni prima lo aveva catturato tagliandogli un braccio. Nel ritorno al passato J incontra il giovane K (Josh Brolin) e deve convincerlo a collaborare con lui, per evitare che venga ucciso e salvare così il pianeta.

Il film è un viaggio, non tanto nella storia americana quanto nel suo immaginario, nutrito in quell’epoca di aspettative ottimistiche, stampate sul volto del giovane K, positivo e franco nel 1969, mentre nel nuovo millennio si è fatto triste e disilluso, come se non esistesse più nulla per cui entusiasmarsi.

Non è solo K a essere invecchiato, ma l’intero paese: l’immersione negli anni Sessanta costituisce quindi un corroborante tonico, capace di dare smalto e slancio anche al racconto. Sonnenfeld si diverte a giocare con la memoria collettiva dell’epoca: reinventa un decennio colorato e immaginifico, come nella sequenza della Factory di Andy Warhol, dove non è difficile credere che i freaks e le rockstar che la popolavano fossero in realtà degli alieni.

Non è un capolavoro MIB3: però possiede il sapore favolistico di un passato più fiducioso del presente, una sensazione che la recitazione scanzonata e atleticamente ottimista di Will Smith rende adeguatamente. Siamo lontani dai toni lugubri della fantascienza contemporanea, che pensa al futuro in termini pessimisti se non apocalittici (28 giorni dopo, Io sono leggenda, Wall-E, The day after tomorrow): e ciò è possibile solo retrodatando la vicenda, confinandola in un’epoca in cui il paese si sentiva giovane ed era capace, come ha spiegato molto bene Simon Reynolds in Retromania, “di generare visioni allettanti e promettenti del mondo di domani”.