Benvenuti al Nord: Bisio e Siani, eterne maschere del milanese e del napoletano

Dopo "Benvenuti al Sud", Luca Miniero punta ancora sulla contrapposizione comica tra Nord e Sud. Molte le critiche, ma il film ha riscosso enorme successo. Perché gli italiani si identificano in questi luoghi comuni.

Benvenuti al Nord: Bisio e Siani, eterne maschere

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Luca Miniero è uno specialista di milanesi e napoletani. È lui stesso un napoletano a Milano, dove ha lavorato come pubblicitario. Il suo film d’esordio Incantesimo napoletano, firmato con Paolo Genovese, partiva da uno spunto surreale, una bambina napoletana che parla inspiegabilmente milanese. Poi c’è stato Benvenuti al Sud, fortunata trasposizione del film francese Giù al Nord, con le indovinate maschere di Claudio Bisio (brianzolo inflessibile ma non troppo catapultato al Sud) e Alessandro Siani (meridionale mammone di buon cuore).

Inevitabile il seguito: Benvenuti al Nord, stessi attori e meridionali in trasferta a Milano (per lavorare, ovvio). Il film è stato unanimemente stroncato, perché è una favola all’acqua di rose dalla sceneggiatura traballante. Ma il vero problema è che se Benvenuti al Sud aveva pochi progenitori – i milanesi al meridione, nella realtà come al cinema, sono rari –, il sequel ne ha moltissimi. E hanno pesato sulle scelte del regista.

Come si può filmare l’arrivo dei meridionali alla stazione di Milano dopo Totò e Peppino intabarrati come il compagno Stalin e con una lanterna a olio perché “a Milano quando c’è la nebbia non si vede”? Allora Miniero fa scendere i suoi personaggi dal treno con una caffettiera gigantesca: ma l’effetto non è lo stesso. Il film ruota intorno ai luoghi comuni tipici del genere: qui pro quo linguistici e battute su cibo, clima e diverso modo di intendere il lavoro.

Proprio il tema del lavoro ha un precedente vistoso: l’intelligente Napoletani a Milano, uno dei più riusciti film da regista di Eduardo De Filippo. Anche Miniero vorrebbe rendere il lavoro un terreno di incontro tra napoletani e milanesi, che accomuna anziché dividere. De Filippo ci riusciva con un dosaggio sapiente di dramma e commedia, che confermava gli stereotipi per ribaltarli (i napoletani sono sfaticati ma sanno rimboccarsi le maniche). Miniero invece trova nei luoghi comuni le leve ideali per la comicità: le gag sull’efficienza un po’ fanatica degli uffici milanesi sono le più divertenti, come quella di Siani controllato da Bisio su maxischermo anche alla toilette (memore di Vip mio fratello superuomo di Bruno Bozzetto?).

De Filippo chiudeva con un finale favolistico, il tram che da piazza Duomo a Milano porta a Posillipo. Consapevole, pur nel tono ottimista, della difficoltà del processo di integrazione. Gli stereotipi di Miniero invece sembrano granitici (immutati da cent’anni, possibile?), però si liquefano al sole dei buoni sentimenti che accomunerebbero tutti gli italiani. Da qui la scenetta della vecchia milanese che parla solo dialetto e si intende a meraviglia con il cafone meridionale dalla lingua incomprensibile; o i leghisti col mastino napoletano che si esprime in dialetto partenopeo con tanto di vignette.

La prima impressione è che i conflitti raccontati da Miniero abbiano poco a che vedere con i nuovi italiani cosmopoliti. Però l’enorme successo delle due pellicole suggerisce l’esatto contrario. E poiché non è solo la realtà a incidere sull’immaginario, ma anche l’inverso, la contrapposizione culturale tra napoletani e milanesi è probabilmente più veritiera di quanto si voglia ammettere.