Facebook manipola le emozioni, le scuse dopo l’inchiesta

La parola a Marco Cavaliere, studente Optima Erasmus a Barcellona


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Facebook non smette di essere al centro dell’attenzione e delle polemiche. L’esperimento sulle emozioni degli utenti, condotto manipolando il flusso di notizie in bacheca all’insaputa degli iscritti, è stato ”comunicato male”. Le ”scuse” ufficiali, sebbene non per il test in sé ma per il modo in cui è stato comunicato, arrivano dal numero due dell’azienda: Sheryl Sandberg, chief operating officer del social network.
L’annuncio arriva dopo la decisione del Garante della Privacy britannico di aprire un’indagine sulle possibilità manipolatrici dei sistemi che gestiscono le dinamiche della piattaforma del social network più popolare e affollato dei nostri tempi.
L’accusa sarebbe, non solo profilazione degli utenti a scopo commerciale, ma anche gestione delle emozioni.
La decisione è arrivata dopo la pubblicazione di una ricerca, coordinata da Adam Kramer, membro del Data science team di Facebook, che dimostra che le emozioni dei nostri amici, espresse attraverso post e frasi che la bacheca sceglie di mostrarci in base a raffinati algoritmi, influenzano quello che pubblicheremo sul social network. E dunque che, in qualche modo, i sentimenti  –  o quantomeno attitudini positive e negative  –  tendono a propagarsi di conseguenza, in un gioco di reciproche influenze. L’inchiesta dell’Information commissioner’s office (ICO) arriva mentre l’Unione europea sta tentando di rendere più severe le regole sulla protezione dei dati.
Tra le ipotesi, secondo quanto scrive il Financial Times, anche la possibilità di comminare una multa, seppur simbolica, di 500mila sterline, equivalenti a 800mila dollari circa, per aver violato le emozioni di 700.000 utenti nell’ambito di questa ricerca scientifica.

Abbiamo chiesto a Marco Cavaliere, studente Optima Erasmus a Barcellona, il suo parere sulla capacità della creatura di Mark Zuckerberg di manipolare le emozioni.

Può davvero Facebook contagiarci emotivamente?

La domanda che sento di pormi è: ma è davvero necessario chiederselo? Non è già scandalosamente ovvio che si tratta di un dato di fatto?
 Agli scettici nel leggere tale mia domanda retorica, rispondo indirettamente con un paio di esempi.
 Alzi la mano chi non si “emoziona”, o per lo meno chi non si sente meglio, nel vedere che sulla foto di profilo appena caricata siano arrivati più di 100 likes. Alzi la mano chi non si sente distrutto nel vedere che sul profilo del proprio ex appare “impegnato”, e non si tratta di noi. Gli esempi potrebbero proseguire in una lunghissima lista naturalmente, e sarebbe sciocco non ammettere che sebbene tutto ciò sia solo il riflesso di esigenze ed istinti primordiali (l’essere apprezzati, la gelosia, l’amore, l’invidia), in questo periodo storico sono proprio i social network, il vero veicolo e mi permetto di dire gli amplificatori di tali esigenze, emozioni, istinti. 
E a quelli che pensano “sì ma sinceramente a me del giudizio della gente non importa nulla”, mi sento di chiedere: ma perché allora condividiamo post, foto, video e ogni spillo della nostra vita su un social pubblico, invece di tenere tutto sul nostro computer offline?
 L’ipocrisia è l’unico motivo per cui siamo ancora convinti che i social non impattino fortemente sulla nostra sfera sentimentale ed emotiva, ma nascondersi dietro un dito non credo basti a risolvere il problema.

Qual è la tua esperienza sui social? Ti senti effettivamente condizionato emotivamente dai post e dalle condivisioni dei tuoi contatti?

Personalmente, ho scelto di non giocare a nascondino. Vivo sui social gran parte del giorno, nell’era smartphone siamo costantemente connessi con chat, notifiche, commenti, likes. È la vita dell’uomo moderno, non se ne scappa né sento di volerne scappare. Credo che siano strumenti sociali utilissimi e potenzialmente validi, se si sa usarli con onestà intellettuale e con coerenza. Non ci credo molto a quelli che dicono “eh ma i social ammazzano le interazioni sociali vere”, oppure a chi dice “sì ma non sarebbe meglio cancellare tutti gli account ed uscire all’aria aperta?”.
 La mia risposta è NO. 
Non capisco il motivo di questo bivio, il motivo per cui la vita all’aria aperta, la vita “vera”, debba essere una condizione antitetica rispetto all’utilizzo dei social. Sebbene mi spaventi e mi rattristi molto, a volte, trovarmi in metro e vedere che 9 persone su 10 hanno gli occhi sullo schermo e le cuffie nelle orecchie, è anche vero che si può benissimo vivere il mondo, rapportarsi con la gente faccia a faccia, senza rinunciare alla comodità della comunicazione digitale online. 
È tutta una questione di giusto peso, di senso corretto della misura.
Io sui social ci lavoro, ci promuovo il mio lavoro da scrittore emergente, ci faccio tante cose che non mi sarebbe possibile fare senza tali strumenti. Ciò nonostante, vivo una vita “offline” attivissima, parlo ogni giorno con decine di persone, condivido momenti ed emozioni anche senza dover avere la spia della wifi accesa.
 Quindi dico sì, è vero che i social condizionano la nostra vita, socialmente ed emotivamente, ma non mi sento affatto di dire che tale influenza debba necessariamente essere distruttiva e dannosa. Perché quando carico una nuova foto di profilo e riaprendo il pc dopo un paio di ore trovo tanti commenti scherzosi dei miei amici in Italia, quel like di quel mio amico che non vedo da tempo, quel “sei sempre più simile a tuo padre” da parte dei miei zii francesi, allora sorrido e penso che forse i social possono essere un bellissimo supporto alla vita, e che diventano un cancro solo nel momento in cui decidiamo di farne una malattia.