Brasile vendicare Maracanazo Vita in un Mondiale

Quando in Brasile si vuole indicare un evento luttuoso e catastrofico si parla di Maracanazo. E' la sconfitta del 16 luglio 1950 contro l'Uruguay che costò al Brasile la Coppa Rimet che sentivano già vinta. E Pelè adesso sogna la rivincita perché i mondiali valgono una vita

Maracanazo crudele

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Brasile vendicare Maracanazo

Vita in un Mondiale

 

Vendicare il Maracanazo. E’ l’ossessione che dal 16 luglio 1950 lacera la mente ed il cuore dei brasiliani. Maracanazo dal nome dello Stadio Maracanà il più grande del mondo e della sconfitta più grande del mondo patita dalla nazionale brasiliana contro l’Uruguay in quella data funesta. Maracanazo in Brasile è sinonimo di tragedia, sciagura, catastrofe apocalittica. Ancora oggi si usa questa espressione per indicare un evento sconvolgente per l’intera nazione e per tutti i suoi abitanti. Quel giorno era tutto pronto per il trionfo dei padroni di casa. Sarebbe bastato un pareggio per aggiudicarsi la vittoria della Coppa Rimet. Ed invece l’Uruguay di Ghiggia e Schiaffino provocò il Maracanazo. Osvaldo Soriano, quanto ci manca la sua penna in queste ore, descrive quella tragica giornata dalla prospettiva triste del capitano uruguaiano Obdulio Varela.  “El Jefe”raccolse la palla dal fondo della rete dopo la segnatura brasiliana riportandola con lentezza estenuante al centro del campo. Spense così il fiammeggiante entusiasmo dei brasiliani ed innescò  il clamoroso rovesciamento di risultato e destini. Il Maracanazo ha segnato tante vite come quella del malcapitato portiere brasiliano Barbosa che molti lustri dopo veniva additato per strada come l’uomo nero, l’ orco cattivo, colui che ha fatto perdere al Brasile il campionato del mondo del 1950. Tragiche e meravigliose storie di calcio che vivremo in queste notti d’estate riannodando il filo della memoria. I Mondiali di Calcio non sono solo un evento sportivo ma rappresentano uno spartiacque generazionale come quelli del 66’ quando Paolo Rossi ( Antonello Venditti cantavit) era un ragazzo come noi. I primi che ricordo sono quelli del 70’ Italia-Germania 4-3. Mi piacquero molto quelli di Argentina 78’ ma piansi quando compresi il sangue ed il dolore che quella vittoria erano costati al popolo argentino. PaoloRossi divenne un idolo dopo il trionfo in Spagna e nei primi viaggi all’estero appena dichiaravo la mia nazionalità tutti mi parlavano di Pablito. Nella notte d’Italia-Argentina a Napoli tifavo senza imbarazzo per Maradona. La Francia di Zidane multietnica e cosmopolita meritò il Mondiale del 1998 guardato mentre ero in giro per mezzo mondo. I figli di Calciopoli non mi convinsero a far diventare azzurro il cielo sopra Berlino 2010 e del Sudafrica ricordo il frastuono infernale delle trombette e la limpida testimonianza di Nelson Mandela che utilizzò lo sport per riunire una nazione lacerata dall’odio razziale. Era il rugby ma sempre con una palla – comunque ovale – si gioca.