La chimica delle lacrime

Peter Carey - Bompiani editore


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La chimica delle lacrime
La chimica delle lacrime

Sono 45 anni che il Booker Prize – uno dei premi letterari più importanti al mondo per autorevolezza della giuria, consistenza del premio monetario e capacità di influire sulle vendite del libro vincitore – seleziona il miglior romanzo di lingua inglese tra tutti gli scrittori dei Paesi appartenenti al Commonwealth.

E solo 3 scrittori hanno vinto il premio per ben 2 volte: tra loro Peter Carey, autore di “La chimica delle lacrime” (Bompiani editore), il libro letto per voi. Australiano di nascita ma residente nella Grande Mela, Carey costruisce con “La chimica delle lacrime” un doppio romanzo perché due sono le storie che narra con due ben distinti personaggi in due epoche diverse.

Eppure la vicenda di Catherine – ambientata nella Londra dei giorni nostri (è il 2010) – scopriamo ben presto che si intreccerà a filo doppio con la storia di Henry, un nobiluomo del XIX secolo con una passione smodata per gli orologi meccanici dalle fogge più strane, i precursori degli automi, di cui nel XXI secolo la nostra Catherine è una studiosa e restauratrice. Questo doppio registro con i relativi salti temporali da un capitolo all’altro, è sicuramente la prova più difficile che il lettore deve affrontare per riuscire a penetrare nelle pieghe di questo romanzo in cui la perizia dello scrittore – da anni candidato al Nobel – riesce a tessere e tenere insieme due storie di dolore e di amore. Un intreccio complicato che mescola realtà e finzione, presente e passato in un’alternanza di voci dei protagonisti.

Del resto chi ha amato “Oscar e Lucinda” (da cui anche una trasposizione cinematografica) e “La ballata di Ned Kekky”, sempre di Carey, ritroverà anche in questa sua ultima prova alcuni elementi fondamentali del suo lavoro: il rapporto fra storia e progresso, l’interesse verso le scienze meccaniche, il lirismo legato al viaggio sia in senso reale che metaforico. Del resto Henry compie un viaggio “reale” – dall’Inghilterra alla Germania – per tener fede alla promessa fatta all’amatissimo figlio e Catherine compie un viaggio in se stessa leggendo i quaderni lasciati da Henry per ricostruire il suo splendido automa a forma di cigno:“Più leggo, più bevo, più bevo e più sono affascinata da Henry Brandling (…) Comincio a pensare che mi abbia preintuito e che abbia lasciato questi quaderni a me personalmente”. Andando avanti nella lettura è sempre più chiaro che non solo Carey tratteggia due vicende ma anche due piani narrativi: quello della fiction, infatti, si sovrappone ad una riflessione più ampia – come ha scritto anche Masolino D’Amico su TuttoLibri della Stampa – sulla “umanità di alcuni meccanismi e sul meccanicismo della vita stessa”. Del resto anche le lacrime – ci dice Catherine sul finale – sono un prodotto chimico analizzabile, diverso a seconda delle emozioni che producono.