Chiamate da Amsterdam

Juan Villoro - Ponte alle Grazie editore - Pag.80


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Chiamate da Amsterdam
Chiamate da Amsterdam

Uno dei grandi pregi del Festival Letteratura di Mantova – meta settembrina imperdibile di tutti gli appassionati di libri – è quello di mixare sapientemente grandi nomi della letteratura internazionale con scrittori non ancora particolarmente noti in Italia, magari da poco tradotti, ma appartenenti a Paesi dalla grande tradizione narrativa. È questo il caso di Juan Villoro, scrittore messicano ospite dell’ultima edizione del Festival e animatore di uno degli incontri più interessanti con il suo “Chiamate da Amsterdam” (Ponte alle Grazie editore). Scrittore e giornalista poliedrico, Juan Villoro è nato a Città del Messico nel 1956. Laureato in sociologia, è appassionato di rock e cinema, e ha un passato da diplomatico: tra il 1981 e il 1984 ha lavorato all’ambasciata messicana a Berlino Est. Collabora con prestigiose riviste e quotidiani, tra cui Internazionale e El País. Noto da anni alla critica spagnola e ispanoamericana, in Italia ha pubblicato con successo “Il libro selvaggio” per Salani e ora arriva “Chiamate da Amsterdam”.

Romanzo breve ma intenso, narra con lucidità estrema la maniacale spietatezza di un amore sospeso, di una frustrazione che mai si sopisce, di un dolore che eternamente ritorna a condannare a una vita di rimpianto. Juan e Nuria sono sposati da dieci anni e all’improvviso si apre per loro la possibilità di trasferirsi ad Amsterdam (se avete amato la coppia di Revolutionary Road di Yates portata sullo schermo da Leonardo Di Caprio e Kate Winslet, non potrete non appassionarvi anche ai protagonisti di Villoro). Quando ormai tutto è pronto per la partenza, però, a sconvolgere le loro vite arriva l’improvvisa notizia della malattia del padre di lei. Nuria viene riassorbita nel vortice dell’affetto filiale e, dal canto suo, Juan non sa opporsi all’inesorabile allontanamento della moglie e si lacera con i dubbi sulle vere ragioni di questa scelta. In assenza di risposte certe, Juan si trascinerà per anni nell’ossessione per la donna amata e perduta, illudendosi che anche questa sia una forma di vita.

Romanzo colto e raffinato, “Chiamate da Amsterdam” ha un ritmo inesorabile e si caratterizza per il modo in cui Villoro scandaglia l’animo del suo protagonista, regalandoci pagine di autentica emozione. Del resto di questo romanzo si è scritto “Come le più belle storie di Hemingway, ciò che in esso viene taciuto è molto più importante di quel che viene detto. Al contempo, la scrittura suggerisce risposte acute e dolorose, mai esplicite”. E non è un caso se tra gli amici e gli estimatori più cari di Villoro c’era Roberto Bolaño: difficile che si sbagliasse. E del resto queste 80 pagine (più un racconto lungo che un romanzo dunque) sono difficili, se non impossibili da abbandonare. Uno di quei libri che quando lo finisci, te ne senti un po’ orfana.