Pomì ha ragione, voglio sapere cosa mangio!


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Pomì
Pomì

Pomì mette al bando i pomodori campani. L’azienda annuncia in pompa magna che il suo pomodoro è rigorosamente padano. Il pomodoro Pomì non c’entra nulla, dunque, con i veleni della Terra dei Fuochi. Ha ragione Pomì a tentare di difendere il suo fatturato ed a chiarire ai suoi clienti la provenienza della materia prima.

La salute ed i pomodori sono cose serie e non capisco cosa ci sia da scandalizzarsi. La tracciabilità è una sfida che la moderna industria agroalimentare non può più eludere. Il consumatore ha diritto di sapere da dove provenga la salsa di pomodoro con la quale condisce i maccheroni. Ed è dovere del produttore scriverlo sull’etichetta e pubblicizzarlo a chiare lettere.

I produttori onesti non hanno nulla da temere se garantiscono ai loro clienti salubrità dei terreni, coltivazioni ecosostenibili, metodi di lavorazione naturali. Dichiarino dunque anche gli industriali conservieri campani da dove provengono i loro inimitabili pomodori. Dimostrino, come certamente sono in grado di fare con dati alla mano, che è tutto in regola mettendo alla porta i mestatori nel torbido.

Il made in Campania è un brand agroalimentare di rilievo mondiale. All’estero quando si pensa alla pasta con il pomodoro non s’immaginano certo le brume padane ma tavolate all’ombra del Vesuvio. E’ un patrimonio da tutelare importante quanto la salute dei consumatori. Un patrimonio da tutelare con controlli seri, che naturalmente debbono valere anche per i concorrenti nazionali ed internazionali, ed una promozione della filiera che esalti le peculiarità nutrizionali e nutraceutiche del pomodoro campano. Il pomodoro è una cosa seria. L’oro rosso può arricchire tutta l’Italia. Attenti che una guerra di campanile non faccia crollare i consumi ed il mercato orientando i consumatori verso altri condimenti.