La gabbia dorata, recensione


INTERAZIONI: 7
La gabbia dorata, recensione
La gabbia dorata, recensione

Non ci sono star, non ci sono premi importanti (anche se quel riconoscimento a Cannes non è da sottovalutare) e non c’è una promozione/distribuzione che conta. Non c’è un regista affermato, ma uno con un passato da cameraman per nomi come Ken Loach o Spike Lee, qui all’esordio sul grande schermo. La gabbia dorata non ha speranze.

Almeno al botteghino, perchè è invece è proprio la speranza il sentimento più forte di questa pellicola, sia a livello narrativo che a livello cronologico, essendo regista, attori, sceneggiatore e fotografo una risorsa sicura per un cinema che, soprattutto nell’ultimo periodo si sta impoverendo di idee e talenti.

Diretto da Diego Quemada-Dìez, La gabbia dorata racconta la storia di Sara, Juan e Samuel, tre adolescenti del Guatemala più un indios di nome Chauk, che nel tentativo di raggiungere illegalmente gli Stati Uniti in cerca di una vita migliore, incontreranno e si scontreranno con una realtà fatta di persone disposte ad aiutarli ed altre pronte a sfruttarli come merce.

Quemada-Diez fonde l’occhio della telecamera con il nostro e ci porta dentro le dinamiche e i sentimenti di un gruppo sviscerando valori come la fiducia e l’integrazione, fino alla conclusione con quella carne da macello il cui compito è quello di essere metafora non di un popolo, ma di uno status. La gabbia dorata sarebbe potuto diventare facilmente polemica burocratica, ma scansa l’atteggiamento e sinceramente funziona e sensibilizza molto meglio così.

La gabbia dorata arriva nelle nostre sale giovedì 7 novembre.
Il trailer lo trovate qui.