Istanbul, a Santa Sofia per allargare i nostri confini


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Santa Sofia
Santa Sofia

“Le nostre più radicate convinzioni tendono ad essere le più sospette perché segnano i nostri limiti. La vita è ben poca cosa se non è mossa da un’indomabile urgenza di estendere i propri confini”.

Questa frase del filosofo Jose Ortega y Gasset mi è tornata improvvisamente alla mente durante un mio recente viaggio ad Istanbul.

La città è uno straordinario crocevia continentale. E’ sospesa, come il suo celebre ponte sul Bosforo, tra due continenti l’Europa e l’Asia che praticamente arrivano a toccarsi. E’ una città complessa, per tre volte capitale d’impero: Bisanzio, Costantinopoli ed Istanbul. Una città nella quale le civiltà ed i popoli, le religioni e le culture si sono incontrati e scontrati non senza esiti sanguinosi ma anche con risultati umani ed artistici formidabili.

 

Santa Sofia è l’emblema più potente di questa storia millenaria ben custodita tra le sue mura meravigliose. La madre di tutte le chiese d’Oriente fece esclamare all’imperatore Giustiniano “Gloria a Dio che mi ha fatto degno di questo! Oh Salomone ti ho superato”. Il potente imperatore dei Codici aveva ordinato che la Basilica fosse un trionfo dell’arte e della fede. L’impresa era riuscita. Le mille e mille tessere dei mosaici raccontavano le storie bibliche in un caleidoscopio di luce e misticismo. Persino Solimano il Magnifico, dopo la conquista ottomana del 1453,  restò abbagliato dalla bellezza mistica della Basilica cristiana. La chiesa non fu distrutta ed i suoi tesori salvati. Gli ottomani la trasformarono in moschea; aggiunsero dei minareti e coprirono le immagini cristiane utilizzando  intonaco ed enormi scudi con incisi i dorati versetti del Corano. La moschea di Santa Sofia divenne “la madre di tutte le moschee” e quando nel 1935 Ataturk decise di trasformarla in un museo tornarono definitivamente alla luce anche i dipinti ed i mosaici cristiani

 

Oggi nelle navate di Santa Sofia convivono sotto gli occhi ammirati di milioni di visitatori i volti dei profeti biblici e le lodi a Maometto, il Mikrab ( la nicchia che indica la direzione della Mecca ) ed una meravigliosa Vergine con il Bambino che domina la scena come una visione celeste, un’apparizione sospesa a quaranta metri d’altezza che squarcia con la sua luce la penombra dell’edificio. Una lode millenaria alla Madre di Dio e della Chiesa che richiama iconograficamente alla Sofia, alla saggezza. Come ipnotizzato dalla visione della la Madre Celeste ho riflettuto che i primi costruttori ellenici i bizantini, i romani ed i crociati, gli ottomani non avevano mai mutato il nome dell’edificio pur cambiandone la struttura e le funzioni. Erano, evidentemente, stati tutti  conquistati da quel richiamo alla saggezza che dovrebbe sempre ispirare i rapporti tra gli uomini nel rispetto dell’altro da me, in quel prossimo evangelico che mi aiuta ad essere veramente un uomo fedele a Dio ed all’umanità da Lui creata.

 

Un’indomabile urgenza di estendere i propri confini. La Vergine con il Bambino di Santa Sofia con il suo portamento dolce ma deciso  c’incoraggia ad allargare il nostro sguardo verso l’altro e verso l’altrove speciale in queste ore nelle quali i venti di guerra tornano a spirare forti su tutto il Medio Oriente. A vincere il muro egoistico dell’ostilità o peggio dell’indifferenza. Ad esaltare la nostra umanità nell’inesausta ricerca di Dio attraverso il volto e le storie dei nostri fratelli. Ed è proprio questa la vera Sofia, la vera saggezza.