Le toghe tacciano, i giudici parlino con sentenze


INTERAZIONI: 14
‘toghe rosse’

Convegni, libri, talk show. I magistrati imperversano in libreria, nell’etere e nelle pubbliche piazze. Non mi piace per nulla. Sono convinto che le toghe non possano e non debbano esprimere libere opinioni sullo svolgimento della vita pubblica italiana. In un paese normale, i magistrati sono silenziosi, invisibili, alacremente impegnati ad indagare, ascoltare testimoni, condurre udienze, valutare  le prove ed emettere sentenze “in nome del popolo italiano”.

I magistrati – suprema garanzia costituzionale – sono soggetti soltanto alla legge. Non debbono scriverle queste leggi poiché tale funzione compete al Parlamento. Né possono interferire sul processo legislativo poiché susciterebbero – inevitabilmente – timori sui loro giudizi successivi. Né hanno bisogno di tribune televisive per affermare la loro legittimità. Quando chiedono il sostegno della piazza finiscono per sminuire la loro stessa funzione.

Il Consiglio Superiore della Magistratura, organo di autogoverno della categoria e della funzione, ha anche emesso delle regole limitative ma sono – absit iniuria verbis – sistematicamente ignorate dietro la giustificazione sottile che quando un togato interviene in televisione si esprime sui principi generali  e non certo sui fascicoli a lui affidati. La giustificazione formale è labile, come labile il confine dell’opportunità. Ed i magistrati chiacchieroni sono stati redarguiti anche da molti autorevoli colleghi. Diversa è invece la partecipazione ad iniziative di approfondimento culturale e sociale su indagini e sentenze che siano giunte al loro epilogo procedurale. In tal caso bene fanno i protagonisti ad illustrarne, nel confronto democratico, gli aspetti salienti.

Il difficile momento che attraversa il paese esige comportamenti  rigorosi da parte di tutti  e ciascuno. Qualche talk in meno e qualche sentenza in più gioveranno ai cittadini ed ai magistrati.