Che Dave Grohl avesse tanto da tirare fuori era già evidente dai tempi di Marigold, dove possiamo sentire uno strano e ipnotico nervosismo, le vibrazioni di un artista che vorrebbe tanto esplodere. È quanto accade con Foo Fighters, il primo album della band uscito il 4 luglio 1995 e con il quale Dave riesce a buttarsi alle spalle la fine dei Nirvana e dell’amico Kurt Cobain. Per molti Dave non attendeva altro che lasciar esprimere il suo ego, ma lui sa bene che con questa nuova e promettente esperienza musicale vuole insegnare al pubblico che esiste una forza oltre il dolore.
Foo Fighters non è certo il migliore album di Dave Grohl e soci, ancora tutti disorientati da una prima metà degli anni ’90 fatta di grunge, stoner rock, di primi passi del nu metal e dell’esplosione pop punk arrivata con i Green Day e gli Offspring. Il primo album dei Foo Fighters non ha mezza sfumatura attinente ai Nirvana: è punk, come l’anima di Dave Grohl che – prima dei Nirvana – militava negli Scream.
Non manca l’alternative rock, una marcia in più che salva la band da una facile etichettatura. I’ll Stick Around e Big Me diventano il manifesto, un lavoro scritto e registrato in pochissimo tempo e che mette sul piatto tutta la cultura musicale e la voglia di fare dell’ex batterista dei Nirvana. Sebbene i Foo Fighters siano un progetto Grohl-centrico, va detto che Dave non ha mai avuto interesse alla carriera solista. Dopo la fine dei Nirvana cerca Pat Smear e mette al basso Nate Mendel e William Goldsmith alla batteria, entrambi già militanti nei Sunny Day Real Estate.
Il risultato è un disco che certamente colpisce, anche se non nell’originalità: il pubblico vuole sapere cosa resta dei Nirvana, la risposta è niente, si continua con i Foo Fighters. Che non sono i Nirvana. Il disco verrà presto oscurato da The Colour And The Shape (1997), e del debutto parleranno ancora in pochi. Per fortuna e purtroppo.