L’Innocente, una divertita commedia criminale diretta da Louis Garrel

Un giovane vedovo entra in apprensione quando la madre attrice sposa un detenuto, suo allievo in un corso in carcere. Garrel, anche protagonista, dirige un affiatato gruppo d’attori in un film che mescola leggerezza e toni dolceamari

L’Innocente

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Chi è L’Innocente, viene da chiedersi, tra i protagonisti del film diretto – è la sua quarta regia, probabilmente la migliore – e interpretato da Louis Garrel? Innocenti lo sono un po’ tutti i personaggi principali, a partire paradossalmente da Michel (Roschdy Zem), che nella prima scena del film, inquadrato in primo piano, mostra i modi duri e spicci di un gangster. Subito dopo scopriamo che sta recitando delle battute: solo che, però, per quanto la parte sia finta, lui è veramente un criminale, che sta seguendo in prigione, con ottimi risultati, un corso di recitazione tenuto da Sylvie (Anouk Grinberg), che s’innamora dell’uomo e decide di sposarlo con una funzione che si svolge dietro le sbarre.

La cosa getta nell’apprensione il posato figlio Abel (Garrel), giovane vedovo segnato dal lutto che lavora in un acquario, abituato ma non del tutto a dover fare da padre a una madre dai continui colpi di testa (ed è singolare che Garrel abbia trasferito qualcosa di autobiografico nel film, dato che sua madre, l’attrice Brigitte Sy, ha fatto esattamente la stessa cosa, sposando un detenuto conosciuto durante un corso di recitazione in prigione). A quel punto Abel, con la collaborazione di Clémence (Noémie Merlant), migliore amica della moglie scomparsa, decide di tenere sott’occhio Michel, cui è stata concessa la libertà condizionale, non credendo né a quell’amore, né al ravvedimento dell’uomo, che ha deciso, non si sa bene con quali soldi, di metter su insieme a Sylvie un negozio di fiori in pieno centro di Lione (dove si svolge il film, abbandonando per una volta il più canonico fondale parigino).

L’Innocente è costruito come un soave marchingegno narrativo a più strati, in cui la confezione da commedia leggera e romantica contiene un’altra vicenda che emerge a poco a poco, seria, una storia criminale (ma non troppo) da polar francese, sempre intinta nell’allegria istintiva e un po’ anarchica della cornice brillante. La qualità maggiore del film diretto da Garrel sta proprio in questa dizione che mescola con disinvoltura i toni, come dimostra anche in alcuni momenti l’uso quasi antiquato dello split screen, che raccorda il primissimo piano hitchcockiano degli occhi preoccupati di Abel che presentono tragedie ai momenti festosi dell’inaugurazione del negozio di fiori col chiacchiericcio degli attori amici di Sylvie, e anche ai magheggi non chiarissimi di Michel, che non si sa bene a quale appuntamento sia dovuto andare così urgentemente.

In fondo sin dalla prima sequenza L’Innocente mette lo spettatore sul chi va là, ricordandogli che nulla è ciò che sembra. E il gioco tra realtà e finzione e della vita come recita è destinato a costituire il leitmotiv del film, in cui pure per fare il criminale è necessario saperla dare a bere comportandosi da attore consumato. Solo che, nel bel mezzo della parte meglio interpretata – ed è quello che accadrà ad Abel e a Clémence quando decideranno di aiutare Michel – può capitare che alcune battute improvvisate non appartengano alla finzione ma esprimano sentimenti autentici che possono rivoluzionare la vita.

Non si può dire di più della trama de L’Innocente, per non rovinare il gusto della sorpresa e del divertimento d’un film che f leva su di un piccolo e affiatato gruppo d’ottimi attori, da Zem criminale d’insospettabile e autentica tenerezza alla sorprendente Noémie Merlant, che dopo la serietà del Ritratto della Giovane in Fiamme e di Un Anno, Una Notte (in attesa di vederla anche accanto a Cate Blanchett in Tàr) mostra una vena di allegra esuberanza che si combina perfettamente con il personaggio malinconico e pasticcione che si ritaglia Garrel.

Il quale da regista trova un tocco lieve, che riesce a innestare uno sull’altro i diversi sapori della sceneggiatura, saldati senza soluzione di continuità l’uno all’altro anche grazie all’uso “truffautiano” di una colonna sonora di canzoni pop in cui trovano spazio anche Gianna Nannini e l’adagio di Anonimo Veneziano (coerenti con lo stile che il regista vuole tanto francese quanto italiano). Non è un film indimenticabile L’Innocente, ma è tonificante la sua non semplice leggerezza che, grazie allo script dello stesso Garrel e di Tanguy Viel, contiene colpi di scena e rimandi interni ben calibrati. Che ci ricordano quanto sia avventato distribuire patenti d’innocenza o colpevolezza. Soprattutto quando ciò che ci sembra più censurabile negli altri è destinato a diventare parte della nostra vita, invitandoci ad assumere uno sguardo più conciliante verso il mondo e ad esprimere giudizi più comprensivi verso sé stessi e gli altri.

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