Anche il cognome della madre ai figli: quando i veri diritti per le donne?

La decisione della Consulta sembrerà solo una piccola concessione fino a quando, per esempio, le donne non verranno pagate come gli uomini o non verranno licenziate se incinte

cognome della madre ai figli

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Poche ore fa è arrivata una storica sentenza della Corte Costituzionale con la quale è stato sancito che assegnare il cognome del padre ai nascituri non deve essere automatico. Deve esserci un accordo tra i genitori e, nel caso non ci sia, bisognerà assegnare anche il cognome della madre ai figli. La Consulta ha voluto così sanare una pratica “discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio”. Una decisione che riconosce un diritto che finora era solo una “concessione” che il padre del nascituro poteva fare alla madre, a seguito di un accordo.

Un passo avanti sicuramente importante, anzi dovuto, visto che siamo nel 2022. Ma dopo questo piccolissimo passo, la vera domanda è: “Quando metteremo realmente mano ai diritti delle donne nel nostro paese?”. Prima di tutto a farlo non dovrebbe essere la Corte Costituzionale che al massimo dovrebbe arrivare a sanare delle violazioni dei diritti sanciti dalla nostra carta costituzionale. Questo ruolo dovrebbe spettare al legislatore, al parlamento che però resta ibernato in quanto a passi avanti nella parità di genere.

La politica si occupi della parità di genere

Questi piccoli passi vanno bene ma sarebbe ora che i nostri politici cominciassero a occuparsi di veri diritti. Sarebbe il momento che si cominciasse a parlare di parità di salario tra lavoratori e lavoratrici. Anzi sarebbe il caso che venisse sancito da una legge con sanzioni durissime per le aziende che non la applicano. Sarebbe anche il caso che nessuno delle risorse umane di un’azienda privata si permettesse di chiedere a una donna a un colloquio se è single. O peggio ancora se ha intenzione di avere figli. E se lo facesse dovrebbe beccarsi una bella denuncia penale.

O ancora sarebbe il caso che, in caso di gravidanza, nessuna donna dovesse subire ritorsioni o peggio ancora il licenziamento. Così come dovrebbe essere prevista un’aggravante per le molestie sessuali sul luogo di lavoro. Dei percorsi di reinserimento nel mondo del lavoro per coloro che denunciano una violenza sia domestica che sul posto di lavoro. Perché sì, non si sa abbastanza, ma le donne che denunciano vengono poi licenziate o discriminate sul posto di lavoro. E purtroppo la legge sul mobbing può fare poco.

Ci vorrebbero più asili nido perché quando nasce un bambino, statisticamente, sono le donne a lasciare il lavoro se non possono permettersi una baby sitter o una scuola privata. Perché va benissimo dare anche il cognome della madre ai figli ma questo suonerà ancora come una presa in giro per molte donne che vedono i loro diritti negati ogni giorno e la vera parità di genere solo come un miraggio.