Perché Putin ha invaso l’Ucraina: la motivazione economica che nessuno sembra considerare

C'erano dei segnali chiari di una crisi economica imminente e ha elaborato una strategia “win-win”. Ecco i due possibili scenari

Perché Putin ha invaso l'Ucraina

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In questi primi due mesi di guerra in Ucraina sono state analizzate sotto vari punti di vista le cause e gli effetti di questo conflitto. Si è approfondita la situazione in Donbass e prima ancora quella in Crimea. Le motivazioni ideologiche e politiche, vere o propagandate, dell’intervento armato e della risposta di chi appoggia l’Ucraina. Si sono valutate anche le ripercussioni economiche della guerra. C’è però una sola motivazione che rimane fuori dal dibattito pubblico che potrebbe svelare perché Putin ha invaso l’Ucraina: quella economica.

Sembra che in questo momento nessuno la consideri o sembra essere comunque subordinata alla motivazione politico-ideologica. O almeno all’opinione pubblica è questo che viene servito. Se guardiamo l’invasione russa utilizzando la lente dell’economia potremmo imbatterci in un’analisi diversa. I fattori economici per i quali Putin ha invaso l’Ucraina potrebbero essere vari e di diversa portata. Il primo motivo, il più banale, è legato alla capacità produttiva del Donbass. Quella regione dell’Ucraina è senza dubbio una delle più fiorenti dal punto di vista economico. Abbastanza fiorente da attrarre i lavoratori russi che vivono nelle zone di confine e che ogni giorno andavano a lavorare in Ucraina.

Acciaierie e materie prime energetiche, i suoi punti di forza. Un primo “movente” dell’attacco potrebbe essere stato banalmente quello di volersi prendere il pezzo più produttivo del paese confinante. Un po’ come se l’Italia decidesse di invadere i cantoni svizzeri più ricchi con la scusa che lì vivono e lavorano degli italiani. Putin, nei primi giorni dell’invasione ha provato ad avvicinarsi anche alle centrali nucleari ma l’impreparazione dell’esercito è costato centinaia di vite umane e ne costerà migliaia entro un anno per l’esposizione alle radiazioni. Questo ha provocato del malcontento nei generali e tra i militari che ha convinto Putin a fare dietrofront per ora, oltre che sostituire o far “morire in battaglia” diversi generali incapaci di tenere a bada le truppe.

Il piano di Putin contro la crisi economica della Russia

C’è poi una ragione più profonda e probabilmente quella che ha mosso Putin nel suo attacco. Una motivazione molto più da scacchista e degna del suo pedigree politico. Tutti sappiamo che il core business dell’economia russa in termini di esportazioni è il gas. Non tutti stanno considerando delle cose che forse Putin ha previsto prima degli altri.

Per prima cosa, l’Italia e altri paesi europei acquistavano e acquistano ancora il gas dalla Russia per un solo motivo: era il più economico sul mercato. Non a caso è stato usato un verbo al passato. Il gas russo era il più economico sul mercato. Ora non più. O almeno il prezzo si sta livellando con quello algerino per esempio. Non a caso Draghi si è precipitato in Algeria ad aumentare l’approvvigionamento italiano da quel paese da cui già prendevamo il 25% del nostro fabbisogno di gas (dalla Russia prendevamo il 40%). Al momento, l’Italia per esempio, ha fatto salire la quota algerina al 35% e sta provando a far crescere anche la quota della Libia da cui prendevamo il 5%.

Il fatto che il gas russo non sia più quello più economico sul mercato, o almeno la differenza non sia così sostanziale, è il primo terremoto economico che la Russia dovrà affrontare. Il secondo terremoto si chiama con una sigla. Tre parole che fanno “rabbrividire” i russi e fanno felici gli americani. Si chiama Gnl, gas naturale liquefatto. L’approvvigionamento e l’utilizzo di questo tipo di gas sta aumentando a dismisura e proprio in questo momento di crisi, sempre l’Italia per esempio, lo sta prendendo dalla Cina passando anche per gli Stati Uniti. Insieme al fatto che i canali d’arrivo siano diversi dai gasdotti che si riforniscono con il gas russo rappresenta il secondo motivo di grave preoccupazione per Putin.

La transizione ecologica e il rischio di perdere i clienti europei

Il terzo motivo è dato dall’accelerazione europea, nel post Covid, con il Recovery fund e con il nuovo piano economico europeo, sulla transizione ecologica. Dopo anni l’Europa si è finalmente svegliata, in colpevole ritardo, e ha vincolato gran parte dei fondi europei alla transizione. Le varie linee di finanziamento legate ai progetti green e alla svolta ecologica rappresentano il più grande investimento che l’Unione ha fatto. Per ogni stato, è lì che ci sono più soldi da prendere. Banalmente anche il Pnrr è improntato sulla svolta ecologica e gran parte dei progetti presentati devono essere legati alla transizione e all’utilizzo di energie rinnovabili. Anche uno dei cinque capisaldi della programmazione europea 2021-2027 è proprio il green.

Per questo motivo i governi europei, non perché abbiano particolarmente a cuore il pianeta, ma semplicemente perché sanno che lì ci sono i soldi, stanno puntando buona parte della loro progettazione verso quei fondi. La decisione politica a livello europeo è arrivata anche in questo caso, non per amore dell’ambiente, ma per motivi geopolitici. Banalmente per provare ad affrancarsi dalla schiavitù energetica russa che l’Europa ha alimentato per anni con Italia e Germania in testa. L’Europa ha visto le mosse di Putin in Georgia, Crimea e Donbass e ha colto l’emergenza pandemica per cambiare marcia.

La guerra preparata da anni

Il Covid, che ha portato un numero sconosciuto di morti e danni economici, potrebbe essere considerato come quarto indice di una possibile crisi economica russa. Tenendo fuori al momento anche una crisi demografica in atto. Ricapitolando: prezzo del gas non più competitivo, altre fonti energetiche, transizione ecologica dell’Europa e Covid. Putin di fatto ha visto quattro indicatori, quattro possibili rivoluzioni alle porte, e ha deciso di agire. Ha capito che il suo paese stava per essere esposto a una profonda crisi economica e ha agito di conseguenza. Non dal 24 febbraio intendiamoci. Lo sta facendo da anni e ha modificato il tiro anche adattandosi agli eventi e, quando gli serviva, provocandoli lui gli eventi.

Sono anni, infatti, che sta accumulando oro nelle riserve russe. La riserva aurea russa è quintuplicata dal 2007 al 2020. E sapete quando si mette da parte tanto oro? Quando bisogna prepararsi a un’economia di guerra. Il piano di Putin è stato denunciato all’inizio dell’invasione anche da Draghi, non a caso ex capo della Bce e uno dei pochi governanti al mondo con quel background. Draghi ha poi capito che dal punto di vista propagandistico l’autodeterminazione dell’Ucraina e la difesa dei suoi confini erano una leva più immediata per l’invio di armi e la politica nostrana l’avrebbe seguito più facilmente rispetto a discorsi sull’economia di guerra. Guerra che in effetti è arrivata e Putin non l’ha provocata perché è un pazzo sanguinario o perché deve denazificare il Donbass.

Perché Putin ha invaso l’Ucraina?

Perché Putin ha invaso l’Ucraina? Per i soldi. Ha sferrato l’attacco consapevole di sollevare un vespaio nella regione e il suo obiettivo è quello di farlo durare quanto più a lungo possibile. Nessuna guerra lampo. Che il conflitto duri conviene a lui e sa che conviene anche agli Stati Uniti che, infatti, sono entrati a gamba tesa. Lui ci rimette armi, che comunque muovono l’economia, e soldati russi. Questo secondo aspetto lo tiene facilmente a bada con la propaganda che sta alimentando da almeno 15 anni e che è riuscito anche ad esportare, anche grazie ai social, in tutti i paesi europei, in sud America, in Medio Oriente e persino negli Stati Uniti costruendo una serie di satelliti culturali e finanziando politici di estrema destra o sinistra fedeli per convenienza.

Adesso però come si concluderà la guerra che ha iniziato? Putin ha valutato due possibili scenari. C’è un primo scenario in cui ci si siede a trattare. Il suo capolavoro sarebbe quello di portare la Russia al tavolo della trattativa con Stati Uniti, Cina e forse l’Europa. Un paese che rischiava una crisi economica e che si regge solo grazie all’economia di guerra, potrà così ritrattare tutti i suoi contratti con i partner europei. Dal rischiare di perderli come clienti a costringerli a rinegoziare. “Volete la pace? Bene. Allora si fa così”. Il Donbass e la Crimea, o la Nato e compagnia cantante, gli servono per la propaganda. Il suo reale obiettivo è rinegoziare i contratti per le forniture di gas e fare così in modo che la Russia continui a contare come potenza mondiale attraverso il core business dell’esportazione di gas.

Da probabile crisi economica a ruolo sempre di primo piano riconosciuto sullo scacchiere internazionale. Il secondo scenario, che purtroppo al momento sembra essere quello più probabile, spiega perché di trattative non si parla. Gli Stati Uniti non ne vogliono sapere di continuare a mantenere la Russia tra i “grandi” del mondo. Hanno sentito l’odore del sangue di una possibile crisi economica russa e voglio azzannare. Per loro gli unici due attori che devono decidere le sorti dello scacchiere internazionale sono loro e la Cina. Per questo motivo fanno valere la loro forza in seno alla Nato costringendo all’appoggio nell’invio di armi i paesi europei alleati, e allo stesso tempo alimentano una guerra che può dissanguare la Russia e non permetterle di sedersi al tavolo del negoziato con delle pretese da “grande della terra”. Pretese di tipo economico.

La fine della globalizzazione e il ritorno ai blocchi contrapposti

Putin ha previsto questo secondo scenario e in questo caso la sua strategia sarebbe un’altra. Più estrema e sistemica. Continuare a oltranza la guerra. Renderla quanto più sanguinaria possibile. Spostarla se possibile anche verso altri territori e costringere il mondo a spaccarsi di nuovo in due. Da una parte Stati Uniti, Regno Unito, Europa, Australia e poi si vedrà chi altro vorrà aggiungersi. Dall’altra Russia, Cina, India e tutti i paesi più popolosi e in via di sviluppo del mondo. Di nuovo banalmente blocco orientale contro blocco occidentale.

Nel blocco orientale comanderebbe sicuramente la Cina ma la Russia si garantirebbe la sopravvivenza economica. In un mondo in cui gli “acquisti” di materie prime non sono più dettati dal mercato e dai prezzi, ma dalla politica, dall’ideologia e dalla fedeltà alla parte di mondo a cui si “appartiene”, la Russia avrebbe ancora un posto. Potrebbe vantare ancora un ruolo di potenza in quella parte di mondo, se non altro per il retaggio culturale, per il numero di abitanti, per l’esercito e per le risorse naturali che porta con sé.

Bentornati nel mondo prima della caduta del muro di Berlino

Sarebbe una soluzione estrema su cui anche gli Stati Uniti potrebbero ragionare. Questo significherebbe la fine del mondo globalizzato e il ritorno al mondo diviso a blocchi. A Putin non interessa, a lui interessa salvare il suo Paese e ha elaborato una strategia “win-win”. Anche la politica di Washington, da Trump su certi aspetti, e anche con Obama su altri, ha progressivamente sempre più ceduto al protezionismo. Non era un caso, e il Covid ha dato la spallata finale della testa della gente che adesso è impaurita. La società americana ha paura di un mondo aperto e chiede ai suoi governanti di pensare prima al proprio paese. Non a caso ha votato Biden proprio perché il più protezionista tra i democratici.

La Cina dovrebbe trovare il modo di riconvertirsi. Da potenza commerciale globale a leader di un blocco orientale (cosa che comunque già è). Per questo i cinesi sono gli unici che tentennano, nonostante la tentazione di portare la Russia sotto la propria egida è forte ma forse è più forte la paura di perdere i mercati americani ed europei, quelli con il portafoglio più florido. In mezzo i popoli di un mondo meno sicuro e meno libero. Da una parte, quella occidentale, si vivrà dovendo accettare le scelte politiche dei governi in nome della sicurezza. Magari in condizioni economiche sempre accettabili ma con meno libertà. Dall’altra ci sarà la parte più povera della popolazione mondiale tenuta insieme dall’ideologia e dal senso di appartenenza, unico vero cibo quando il cibo mancherà. Bentornati nel mondo prima della caduta del muro di Berlino.