Nowhere Special, Uberto Pasolini firma un film prezioso, di commozione autentica

Un padre single malato terminale cerca una famiglia che adotti il suo bimbo di quattro anni. Film ispirato a una storia vera, evita il ricatto emotivo attraverso uno stile pudico e trattenuto

Nowhere Special

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Uberto Pasolini s’è ispirato a una storia vera per la sua terza regia, Nowhere Special. Cineasta cosmopolita – il film, girato in Irlanda del Nord e in inglese, è una coproduzione internazionale con Italia e Romania –, ha cominciato come produttore, con la straordinaria intuizione della deliziosa commedia proletaria Full Monty – tanto per dire, piaceva moltissimo a Billy Wilder – mostrando più recentemente una vocazione d’autore, in particolare col secondo film, Still Life, storia pudica e minimale, ironica e pacatamente ottimista, d’un impiegato comunale che si occupa delle esequie di chi è morto in solitudine, cui cerca di dare degna sepoltura cercando di rintracciare qualcuno che li abbia avuti cari.

Da prospettive differenti, Nowhere Special insiste a suo modo sugli stessi temi, su quel certosino, paziente bisogno di costruire e talvolta ricostruire legami affettivi senza i quali la vita non può definirsi realmente tale. La vicenda vede come protagonista John (James Norton), trentaquattrenne lavavetri di Belfast, padre single – la moglie l’ha abbandonato subito dopo la nascita del loro figlio – di un bambino di quattro anni, Michael (Daniel Lamont). John ha un male incurabile: nel pochissimo tempo che gli resta la sua unica preoccupazione è, aiutato dai servizi sociali, trovare una famiglia che lo adotti dandogli quel futuro che lui non è può garantirgli – e quelle occasioni che lui stesso, con alle spalle una disgraziata storia personale, non ha mai avuto, arrangiandosi perciò a fare il lavavetri.

“Arrangiandosi” però non è il termine esatto. Perché nello svolgere il suo mestiere – si guardi in questo senso la prima sequenza di Nowhere Special, che riesce a essere esplicita usando la forza del puro linguaggio cinematografico – John ha la capacità di infondervi da un lato la sua etica del lavoro ben fatto, dall’altro la sua curiosità verso il genere umano, attraverso quell’attenzione perenne a ciò che gli si svela oltre il vetro che sta pulendo, un mondo fatto alle volte di accoglienti camerette per bambini, talvolta di interni squallidi che rivelano un disagio esistenziale.

Nowhere Special ruota intorno a una storia che lo espone continuamente al rischio di trasformarsi in un film strappalacrime. Ma Uberto Pasolini sceglie una chiave minimalista, giocata sul basso continuo di un silenzioso riserbo, attraverso brevi sequenze esemplari, che senza essere reticenti puntano a dire solo ciò che è strettamente essenziale, trattando le questioni urgenti che sono al cuore della vicenda, ma quasi tangenzialmente, evitando scene madri e senza sottoporre mai lo spettatore al ricatto emotivo.

La quotidianità di John e Matthew – due interpreti senza una nota stonata – è pedinata nel loro rapporto tenero e complice, fatto di un affetto partecipe e di un accudimento reciproco – il figlio che offre il suo gelato al padre o gli mette addosso una coperta quando s’addormenta sul divano –, dal quale si comprende che la forza residua del genitore dipende tutta dall’energia che quel bambino gli regala in ogni istante della sua esistenza. E sono fulminanti certi dettagli del film, che sempre attraverso una dizione apparentemente svagata e invece precisa, colgono il nocciolo della situazione drammatica che i due stanno vivendo.

Come quando Matthew, che non sa ancora nulla della malattia del padre, osserva nel prato un coleottero morto, e chiede a John cosa sia la morte. Oppure nel momento in cui, ponendo le candeline sulla torta di compleanno del papà, al bimbo ne resta una in più, e John la guarda sgomento ben sapendo che non ci sarà un altro anno, un altro dolce e un’altra festa. E sempre, queste notazioni, sono espresse attraverso uno stile visivo pudico e indiretto, evitando sottolineature e stonature, e perciò più intensamente commovente.

Insieme, Nowhere Special va oltre il ritratto intimista e racconta uno spaccato sociale. John e Matthew incontrano le possibili famiglie affidatarie, e c’è di tutto. Donne sole abbandonate dai compagni caparbie e volitive, famiglie benestanti che spendono frasi di circostanza sul bene che vorranno al bambino, una coppia che, dopo aver dato un pupazzo a Matthew per farlo giocare, alla fine dell’incontro lo pretende indietro. Traspare anche un sommesso ma indignato sguardo di classe, come quando John viene trattato sgarbatamente da un cliente che lo taccia d’essere un fannullone. Allora lui, indispettito, lancia delle uova sulle finestre della villetta e, sommo sfregio, sul parabrezza dell’auto sportiva parcheggiata in giardino.

John dimostra anche la sua inesausta curiosità verso il mondo e gli uomini – la qualità che gli permette di andare avanti nonostante tutto –, ad esempio nei ripetuti dialoghi con una sua anziana cliente vedova, che gli spiega il legame indissolubile tra morti e viventi, dicendogli che suo marito scomparso molti anni prima è ancora una presenza che lei percepisce e con cui dialoga ogni giorno. E in quelle parole il laico John, poco a poco, capisce esserci qualcosa di intimo e vero. Come intimo e vero è Nowhere Special, che non ha una parola di troppo e un’immagine in più del necessario.