Tosca in tour, come scoprire se in effetti non siete già morti

Tosca è una delle più grandi artiste che io abbia mai visto dal vivo, e non intendo certo racchiudere dentro questa definizione solo gli artisti italiani


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Milano è una città strana. Fa vanto, quasi, del suo essere anaffettiva, del suo pensare alle cose pratiche, del suo fare cose, ma al dunque, quando cioè c’è da dimostrare il proprio essere vivi, e quindi in balia delle emozioni, non si tira mai indietro. Intendiamoci, non voglio star qui a fare l’apologia del grande cuore dei milanesi, Milano rimane pur sempre la città del fare, quella della fretta e della puntualità, a tratti anche impietosa nei confronti di chi non tiene il passo, vuoi perché è caduto o vuoi perché è semplicemente invecchiato, ma quel grande cuore lì, quello che spesso sembra voler celato allo sguardo, in effetti c’è.

Ieri sono andato a teatro, e ci sono andato, a Milano, dopo qualcosa come ventitré mesi. Non ricordo più esattamente quando è stata l’ultima volta, potrei ricorrere a quel surrogato di memoria collettiva che sono i social, per scoprirlo, ma direi che è irrilevante, per quel che voglio raccontare. Sono tornato a teatro, al Franco Parenti, nello specifico, che non è solo un teatro, ma è un teatro di un certo tipo, con un taglio decisamente alto, di sinistra, Salvini lo potrebbe serenamente definire da intellettualoni, da radical chic, se mai Salvini decidesse di occupare qualche secondo della sua vita al teatro, e ci sono ovviamente andato con mia moglie Marina, esattamente come succedeva con una certa frequenza prima della pandemia. Ci sono andato per un concerto, sono un intellettualone, forse, ma declino questo mio esserlo al campo dentro il quale mi ritrovo poi a giocare, la musica. Potrei azzardare che andare a teatro, o più in generale a un concerto, dal Forum in giù, parlo di numero di posti, ne abbiamo visti a centinaia, negli ultimi anni, è un modo nostro di ritagliarci spazio dentro una famiglia numerosa, quattro i figli, decisamente impegnativa. In realtà non è così. O non è solo così. Volessimo ritagliarci semplicemente spazi e tempi non andremmo certo a un concerto, inizio ore 20 e 30, Milano è anche una città singolarmente nordica, considerando il numero di persone che vengono da posti dove alle 20 e 30 ancora devi decidere cosa preparare per cena, andremmo a cena fuori, o se il tempo è poco, a Milano il tempo sembra sempre poco, a farci un aperitivo. Ieri siamo andati direttamente a teatro, Marina, in smart working da marzo 2020, ha delle chiusure piuttosto impegnative, io mi adeguo. L’essere lì, seduti al Teatro Franco Parenti di Milano, era quindi una scelta ponderata, il frutto di un ragionamento, anche, un impegno, piacevole per quanto si voglia, incastrato dentro tutta una serie di contingenze, a partire dagli immancabili compiti dei gemelli. Qualcosa che, si è a lungo parlato di apatia da queste parti, avrebbe sicuramente cozzato con la quasi totale assenza di voglia di fare alcunché comporti l’infilarsi le scarpe e un giubbotto da che ci siamo, senza volerlo e senza neanche accorgercene, abituati a vivere isolati.

Solo che al Teatro Franco Parenti, ieri sere, 8 novembre 2021, non andava in scena un concerto, cioè uno spettacolo in ambito musicale incentrato in buona parte su un repertorio fatto di canzoni, ma andava in scena un concerto di Tosca, il che equivale a dire un superclassico dei concerti, e chiunque mi citi Ernia, lo sappia, vedrà di colpo la morte in faccia, e per dirla con Pavese, la morte avrà i miei occhi.

Tosca, lo dico mettendo momentaneamente da parte l’affetto e l’amicizia che ci lega, che di quanto sto per dire sono figli diretti, è una delle più grandi artiste che io abbia mai visto dal vivo, e non intendo certo racchiudere dentro questa definizione solo gli artisti italiani. Dovessi fare un parallelo, per altro un parallelo assai sensato, visto la musica che Tosca e la sua band, e che band, santo Dio, portano in giro, farei il nome dei Tribalistas, quindi Marisa Monte, Carlinhos Brown e Arnaldo Antunes, a loro ho più volte pensato nel corso della serata di ieri, per l’intensità delle esecuzioni e per una capacità di suonare e cantare che, mi ripeto, credo non abbia eguali in Italia. Ma non è solo questo, attenzione, non ne faccio una questione esclusiva di talento e di mestiere, Tosca e la sua band hanno fatto un concerto che, la scelta del Franco Parenti, in questo, era azzeccatissima, era la quintessenza della militanza politica, senza dover star lì a fare proclami, a alzare pugni, intonare canti di partito, ma cantando canzoni che hanno il suono del mondo, del mondo tutto, del sud del mondo in particolare, e intonandole con la consapevolezza che l’arte, la musica nello specifico ma l’arte in generale, non prevede confini, non comprende il termine diverso, se non in una accezione positiva, di arricchimento verso la propria unicità, è un tramite universale di quella sorellanza e fratellanza che mai come oggi dovrebbe essere il vero interesse primario di tutti noi, non solo di tutti noi milanesi. Per fare questo, per esibire con candore e orgoglio questo manifesto di umanità, perché in fondo è questo che la sorellanza e la fratellanza producono, il senso dell’umano, Tosca e la sua band, una sorta di Harlem Globbtrotter di musicisti, Giovanna Famulari al pianoforte e violoncello, oltre che altre amenità, Massimo De Lorenzi alle chitarre, Luca Scorziello a percussioni e batteria, Fabia Salvucci percussioni a cornice e voci, ma le voci sono di tutte le artiste in campo, lo vedremo a breve, Elisabetta Pasquale, in arte Orelle al contrabbasso e ukulele, hanno portato a Milano, nel bel mezzo del Morabeza tour, se capita dalle vostre parti e non andate a vederlo, sappiatelo, ci sono buone probabilità che voi siate morti e, come un Bruce Willis lì a parlare con un bambino, nessuno ve lo abbia ancora segnalato, un repertorio talmente carico di bellezza da abbagliare, togliere il fiato, lasciare spiazzati per quanto ci si ripeta da sempre che noi italiani alla bellezza siamo abituati per nascita. Un repertorio che attinge a più tradizioni, sempre riportate a casa madre da lei, Tosca, una voce incredibilmente capace di trasmettere emozioni, una qualità tecnica da far invidia al mondo, una curiosità messa al servizio dello spettatore, non so più quante volte negli anni mi sia capitato di assistere a un suo concerto e mai ho sentito la stessa scaletta. Quella di ieri, e non giurerei che è una scaletta fissa del tour, ha infilato uno dietro l’altro suoni e brani provenienti dall’africa, dalle cose occidentali dell’Europa, ovviamente dall’Italia, Fabia Salvucci, cui Tosca ha ceduto il palco, come poi farà con tutti i componenti di questa grande famiglia di artisti che è la sua band, ha interpretato alla perfezione con lei Piazza Grande di Dalla, dopo aver incantato il pubblico con Serenata, la Francia che a tratti si è affacciata, rubando spazio all’America Latina, la Romania, insomma, un vero meltin pop di canzoni e suoni, un messaggio infilato con lievità in una bottiglia di quelle che ci tengono compagnia quando abbiamo bisogno di calore indotto dall’esterno.

Il fatto, poi, che Tosca, che inizia cantando, come nella copertina del suo ultimo album, il gioiello della Regina che porta il titolo di Morabeza, seduta su una poltrona in scena, le gambe incrociate su un tavolo basso, lei non ha bisogno di artifici per tirare fuori la sua voce, e che voce, può farlo anche mentre si rilassa, il fatto, poi, che Tosca si dimostri generosa nel dare spazio ai suoi collaboratori, Fabia Salvucci, Giovanna Famulari e Elisabetta Pasquale a interpretare brani in solitaria, Train de vie, Giovanna, Magnana, Elisabetta, è parte del percorso che Tosca da anni ha deciso di intraprendere, quello che la vede alla guida della sezione canzone di quel miracolo che è l’Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini, un laboratorio di cultura e spettacolo, un hub culturale senza partenti stretti nella nostra nazione, dove si studia l’arte della musica, dove i maestri passano gli attrezzi del mestiere ai giovani, a riprova che si può essere politici, si fa politica, anche nel predisporre la scaletta di un concerto, nel decidere spazi e tempi di un concerto.

Emozione supplettiva, ma stiamo parlando di ritmi del cuore che si sommano a ritmi del cuore, difficili da raccontare come da percepire con una macchina, immagino, la presenza a teatro di Pietro Cantarelli, cioè colui che ha scritto per Tosca la canzone che in qualche modo le ha regalato, e ci ha regalato, un ritrovato successo, nei fatti per un po’ di tempo spostato su un altro piano, quello più smaccatamente teatrale. Sembra incredibile, ma Ho amato tutto, brano che Tosca ha presentato con grande successo al Festival della Canzone Italiana del 2020, a pochi giorni dall’inizio di questo disastro che all’epoca sembrava giusto credibile in un film di fantascienza di serie Z, ha fatto conoscere a tutti un talento così dichiaratamente cristallino da sembrare quasi ovvio, nonostante Tosca ci fosse già da un tempo sufficientemente lungo, con tanto di vittoria allo stesso Festival in compagnia di Ron, una vita fa. Una canzone che ho avuto il piacere di sentire sotto forma di provino anni fa, mi vanto, e che è di tale bellezza da lasciare praticamente inebetiti, Stendhal la sapeva lunga, e che ieri sera Tosca ha eseguita accompagnata al piano proprio dal suo autore, visibilmente emozionato, come visibilmente emozionati eravamo un po’ tutti, dentro quel teatro stipato.

Sono in difficoltà, perché scrivere è il mio mestiere e non riuscire a rendere qualcosa di incredibile a parole, questo dovrei saper fare, è come una attestazione di fallimento.

Non che fallire sia disumano, ma in questo caso vorrei riuscirci, perché in fondo credo che anche in virtù di quel passaggio sanremese, la gente, intesa proprio come massa, a innamorarsi di chi in fondo avrebbe dovuto essere già innamorata, Morabeza, album sublime uscite da qualche mese (qui ne parlavo https://www.optimagazine.com/2019/11/10/morabeza-il-nuovo-disco-di-tosca-un-album-ma-anche-un-film/1626435) a dar vita a un tour frastagliato, i lock down, le zone colorate, le restrizioni, ma inarrestabile, mica è un caso che il primo e unico evento in pubblico del 2020, dopo quel Sanremo che mi ha visto incontrare Tosca sul divano di Attico Monina, è stato insieme a lei, nella mia Ancona, sul palco di Adriatico Mediterraneo, Massimo De Lorenzi e Giovanna Famulari e intessere suoni manco fossero una intera orchestra sinfonica, ancora lei, prima a Officina Pasolini, ve ne ho parlato qui https://www.optimagazine.com/2021/10/21/frequenze-future-come-officina-pasolini-e-tosca-siano-un-incentivo-alla-speranza/2225188, in mezzo due targhe Tenco giustamente portate a casa, come Miglior Album da interprete e Migliore Canzone, e quel gioiello assolutamente da scoprire, se non lo avete già scoperto, che porta il titolo D’altro canto (ne ho parlato a suo tempo qui https://www.optimagazine.com/2021/03/29/tosca-e-il-suo-daltro-canto-come-balsamo-per-cuori-affannati/2107820), ieri sera al Teatro Franco Parenti, poi in giro per l’Italia e anche d’Europa e del mondo. Conscio dei miei evidenti limiti, e giusto un filo risentito per l’assenza in scaletta di quel capolavoro che risponde al nome di Per ogni oggi che verrà, traduzione di Joe Barbieri, direttore artistico del tour, di Amar pelos dois di Salvador Sobral, mi limito a suggerirvi di incontrare tanta bellezza dentro un teatro, e la location ha in sé un suo valore simbolico mica da poco, dove complice il buio in sala potrete lasciarvi andare vergognosamente a singulti d’emozione pura. Se poi ascoltare un brano come Libertà, non vi spoilero la posizione in scaletta, come certi ritorni improvvisi è bello lasciarsi sorprendere, non vi convincerà che no, non è davvero finita, non hanno vinto loro, beh, andate su eBay e cercatevi un cuore nuovo, il vostro è evidentemente marcio.