Cattelan sei giovane, essere grande è un’altra cosa e a volte chi si compiace floppa

Così doveva andare, il flop del suo programmino era annunciato, già il titolo, “Da grande”, sconfessava le intenzioni


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Alessandro Cattelan, il giovane, si è bruciato e va bene così. Perché è giovane e ha ottimi sponsor, per cui gli daranno continue occasioni fino a che non sboccerà, magari a 90 anni. Perché così doveva andare, il flop del suo programmino era annunciato, già il titolo, “Da grande”, sconfessava le intenzioni: se uno è grande non lo dice, lo dimostra. Invece qui c’era la solita autoreferenzialità insopportabile degli eterni fanciulli, guardatemi, sono cresciuto, sono pronto per Sanremo (chè di questo si trattava: le due puntatine erano solo un test per saggiare la consistenza: friabile). Aldo Grasso, estimatore del giovane Cattelan, se n’è quasi stupito, constatando la dovizia di mezzi e di autori, ma qui la struttura c’entra fino a un certo punto, è il protagonista a non reggere: non si può sempre trattare tutto come un reality (Da grande, non a caso, era coprodotto da Fremantle), importando se stesso e l’intendenza seguirà, napoleonicamente. Un varietà ha tempi diversi, sfumature precise, è un altro mondo, Cattelan il giovane non lo capisce o meglio non sa adeguarsi e tratta i campioni olimpici come due delle audizioni di X Factor, gli lascia fare i saltelli, le scenette giovanili, siamo tutti giovani qui, cresciutelli ma giovani. Invece un padrone di casa non scende al livello anagrafico degli ospiti, li rispetta, li valorizza ma in qualche modo li domina: quell’impercettibile distacco, quell’ironia appena accennata, ma si è mai preso la briga, Cattelan il giovane, di studiarsi le lezioni dei Corrado, i Baudo, i Tortora, i Bongiorno o la sua cultura televisiva si ferma a se stesso?
Sì, d’accordo, i tempi cambiano, le esigenze della televisione multimediale sono stratosfericamente diverse, ma il pubblico in realtà cambia meno di quanto si pensi e quello del varietà tradizionale è conservatore, rimpiange, ricorda. Se un presentator giovane non sa operare la sintesi, è finito. Cattelan della sintesi se ne frega, si piace troppo, con le sue sneakers, le sue camicie arrotolate, il suo approccio accelerato, la complicità con gli ospiti, quella voglia di vipperia in scarpe de tennis, siamo giovani, siamo fighi fighetti, siamo importanti. Però molto buoni, con tutti i valori al posto giusto, pieni di cause imprescindibili, rigurgitanti messaggi edificanti. Al che il pubblico cambia canale, perché vuole svagarsi, non sentirsi educare e tanto meno constatare la crescita più o meno spontanea di Cattelan. Ale il giovane è sovraesposto e si sente molto imprescindibile, ma una prima serata su Rai 1 non è radio e non è talent e se non lo capisce, se non sa gestirla, se non sa cambiare quello che c’è da cambiare la responsabilità è anzitutto sua. Da grande? Ma no, a 40 anni suonati è uno che sta nella terra di mezzo tra fanciullezza e senilità artistica, se c’è una dimensione che gli manca è proprio quella adulta. Sì, d’accordo, parlerà bene l’inglese, insomma, non puoi chiedere sempre a tutti “auaiù” per dire come stai, piacerà pure alle ragazzine, ma il pubblico delle ragazzine lascia il tempo che trova e di questo dovrebbe rendersi conto anche lo sponsor principale, il direttore di Rai 1 Stefano Coletta, che prima diceva che i numeri non gli interessavano, poi, davanti a un catastrofico 12% di share con due milioni risicati di spettatori, non ha detto più niente. Se si pensa che la serata l’ha vinta quel bellimbusto di Enrico Papi con gli Scherzi a parte, quanto a dire la robaccia trash più trita e ritrita. Ma basterà, come sempre, consolarsi con la balla della tivù di qualità che è troppo avanti, che la gente non capisce, insomma dare dello scemo a chi guarda, con il che una nuova emorragia di contatti è assicurata.
Poi non è vero che il programma del giovane Cattelan fosse così moderno, così innovatore: era tutto un riciclo fra talent e cabaret, il duetto, improbabile, caricatissimo, con Serena Rossi ricalcava innumerevoli vecchie puntate di Zelig, solo che a fare da spalle non c’era Checco Zalone ma “Ale” Cattelan, che anche nel turpiloquio s’irrigidisce come uno stoccafisso: “Perché hai rotto il c..zo!”. Ecco, appunto, precisamente quello che avranno pensato molti davanti al giovane in scarpe de tennis che cresce che cresce e che mai non va al Festival. Ma ci andrà, lui è dei presuntuosi, falsi alla mano, che passano sopra a tutto per arrivare. Alla figlia, che si lamentava perché a scuola le fanno le pernacchie, lui, giovane papà, ma saggio, che tutti lo sappiano, che tutti prendano nota, elargisce (in conferenza stampa) la seguente lezione di vita: pensa cosa stanno dicendo a me da una settimana, ma non ti preoccupare, è solo aria, non esistono, fai come me che mi faccio scivolare le cose addosso. Come a dire: noi siamo i Cattelan, abbiamo le belle sneakers e gli altri non devi ascoltarli mai, non esistono, non li conosce nessuno. La piccina avrà preso nota. Anche dell’altra uscita del bravo papà: “Sono stato accusato di essere arrivato a Rai 1 facendo troppo il Cattelan, non potevate farmi complimento più grande”. Come gasarsi, per usare una terminologia giovane, di un disastro. Contento te, Ale il giovane, ma essere grande è un’altra cosa e a volte chi si compiace floppa.