Estate ’85, tra mistero e dolore, Ozon racconta il mito dell’adolescenza (e degli anni Ottanta)

il regista realizza un progetto lungamente accarezzato, portando sullo schermo il romanzo che segnò la sua giovinezza, “Danza Sulla Mia Tomba” di Aidan Chambers. Un racconto di formazione che parla di adolescenza, omosessualità, passione, gelosia, ossessione

Estate ’85

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In Estate ’85 di François Ozon possono ritrovarsi temi sparsi lungo tutta la sua filmografia, dall’omosessualità al potere dell’arte e della scrittura, dall’attenzione all’adolescenza fino alla passione per il thriller, con pure la ripetizione quasi letterale di situazioni (come in Frantz, un personaggio torna sulla tomba della persona amata).

Il rapporto però forse va visto in prospettiva ribaltata: nel senso che Estate ’85 più che essere un riassunto del cinema di Ozon ne è la matrice germinale nascosta. Questo è il progetto più lungamente desiderato della sua carriera, sin da quando nei primi anni Ottanta, allora adolescente, incontrò il romanzo di Aidan Chambers, che in originale si chiama Danza Sulla Mia Tomba, da cui è tratto il film. Una lettura, come il regista ha dichiarato tante volte, folgorante, per la franchezza con cui si parlava di adolescenza, desiderio e omosessualità, un racconto di formazione fondamentale per la sua, di formazione, e che da sempre avrebbe voluto tradurre in immagini.

L’ha fatto, appunto ormai superata la soglia dei cinquant’anni, quando non è più possibile far combaciare il profilo del protagonista sedicenne Alexis (interpretato da Félix Lefebvre) col suo ritratto. E in questa distanza anagrafica il film ne guadagna in oggettività, non subendo il ricatto autobiografico della sovrapposizione tra autore e personaggio, e ritrovando anche, nella nostalgia calligrafica ed emozionata con cui si riproducono gli anni Ottanta della giovinezza, un tono molto personale.

Questa la storia: Alexis ha sedici anni, figlio di una famiglia proletaria trasferitasi in Normandia da un paio d’anni (il romanzo si svolgeva in inghilterra), è un sedicenne sensibile con un certo talento per la scrittura – fomentato dal suo professore di lettere – e una morbosa passione per la morte. Un giorno che fa un giro in barca viene sorpreso da una tempesta, il natante si ribalta, a salvarlo giunge il diciottenne David (Benjamin Voisin), che pare un eroe in posa stentorea sulla sua barchetta. David è l’opposto di Alexis, sfacciato allegro arrembante, subito lo travolge con la sua esuberanza. Lo porta a casa, gli fa conoscere la madre (Valeria Bruni Tedeschi) che gestisce un negozio di articoli da pesca (il padre è morto), gli offre di lavorare come commesso.

La passione divampa istantanea: sono sei settimane di un amore per Alexis (ribattezzato Alex dall’amato) travolgente, di cui lui calcola certosinamente giorni, ore, secondi. Non è esattamente lo stesso per David, che a un certo punto comincia ad annoiarsi e fa il filo a una ragazza inglese appena conosciuta. Dopo la dolcezza del sentimento, è la volta d’una bruciante gelosia.

Di tutta la vicenda di Estate ’85 lo spettatore viene a conoscenza attraverso una struttura a flashback costruita come un’indagine – che prevede anche un processo –, perché come capiamo dal prologo in prima persona di Alexis, c’è di mezzo una morte e un certo gesto che il ragazzo avrebbe compiuto (l’assassinio di David?). Il racconto è in sostanza sempre condotto in prima persona, in base alla ricostruzione letteraria del protagonista della vicenda: ormai abulico dopo la tragedia accaduta, non è capace di trovare parole per spiegarsi, e allora comincia, istigato dal suo professore, a mettere tutto su pagina. Col rischio però di trasformare i fatti in un romanzo, in cui si smarrisce il confine tra realtà e finzione e in cui le persone diventano personaggi letterari. Col che lo spettatore può persino dubitare che quella sia effettivamente la pura verità.

Non sorprende che in un film così sentito come Estate ’85 Ozon metta tanto di sé e del suo cinema, mescolando romanzo di formazione adolescenziale, accensioni melodrammatiche, venature noir e raffreddamento intellettualistico. Va detto che proprio quest’ultimo aspetto (la scrittura quale esercizio di trasfigurazione, memoria, anche inganno) è l’elemento più artificioso del film. Che invece trova la sua cifra migliore nella capacità di raccontare in modo trasparente e pudico tanto l’affiorare della passione che la bruttezza della delusione e la disperazione dell’abbandono, che conduce a un gesto a suo modo estremo e inspiegabile secondo la logica.

Ozon innesta in questo racconto estivo un’idea precisa e affettuosa degli anni Ottanta, in cui ritrova dettagli che lo spettatore della sua generazione troverà struggenti, dalle mode alle canzoni soprattutto, addirittura spostando l’ambientazione di un anno, al 1985, perché altrimenti i Cure non gli avrebbero concesso i diritti di In Between Days, che per regista era indispensabile. Indispensabile come Sailing di Rod Stewart, un brano di sentimentalismo caramelloso, certo: ma amore, desiderio, passione sono sempre, riletti nella lontananza pacata della ragione, tanto ingiustificabili quanto ridicoli. E nei momenti migliori del film, Ozon aderisce esattamente a questo sentimento totalizzante, raccontandolo in maniera volutamente disarmata. Come quando, operando una scelta che a qualcuno sembrerà imperdonabile, cita addirittura l’impresentabile Il Tempo Delle Mele.

Peccato che poi Ozon arretri di fronte a tanta indifesa sincerità e si rifugi nel pretestuoso discorso sulla scrittura come rielaborazione e presa di distanza: “Io divento un personaggio e mi concentro sulla storia e non sul dolore”, “L’unica cosa che conta è fuggire in un modo o nell’altro dalla propria storia”, filosofeggia Alex(is). Son cose che invece di aggiungere spessore al film lo banalizzano, come il regista volesse giustificarsi della franchezza fin lì mostrata. Ma come diceva un’altra canzone – no, non è nel film – l’estate quando finisce trascina tutto via con sé, e dalla parentesi si riemerge più assennati, e forse un po’ meno onesti.