Siamo sicuri che la diffusione di veicoli elettrici risolverà il problema dell’inquinamento?

Intorno al settore delle auto elettriche gravitano ancora alcune incognite per un bene che resta però ancora appannaggio dei più abbienti


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Cosa sarebbe il mercato senza promozione? Dove per promozione si intende una campagna martellante come quella, ad esempio, sulle auto ibride, ultima tendenza simile a un diktat: le implicazioni etiche sono simili a un ricatto morale: se non la scegli, uccidi il pianeta e fai soffrire Greta, le cui treccine minacciose ti puntano. Articoli, programmi televisivi, web, un martellamento da tutte le parti, un addestramento pavloviano all’auto ibrida se non elettrica tout court; salvo poi leggere o ascoltare che “l’elettrico stenta”, poiché malgrado “gli incentivi fino a 10mila euro, i costi restano altissimi”. Per dirla in modo crudo, essere politicamente corretti è un lusso, il silenzio pulito dell’elettrico se lo possono permettere ancora in pochi. Specie in questi tempi di pandemia economica, con le attività che si arrendono e i mestieri che evaporano. “Le postazioni per le ricariche sono ancora rare”, fanno sapere i notiziari. Certo, si continuano ad installare, e soprattutto a promettere più stazioni, ma per il momento la situazione ricorda quella, a lungo, dei vaccini: arriveranno, certamente, ma la settimana prossima. Resta inoltre da risolvere l’inconveniente dei tempi di ricarica, ancora troppo lunghi e a questo dovrebbe ovviare un nuovo scatto produttivo basato su modelli di batterie a ioni di litio con tecnologia che sfrutta il silicio anziché la grafite. Incoraggianti esperimenti sono in atto in Israele, ma si tratta ancora di fasi sperimentali: per ora, il pieno di elettricità resta lento.
C’è poi la controversa questione delle fonti: pulite davvero o solo di facciata? Lo scorso dicembre ha fatto scalpore il CEO di Toyota, Akio Toyoda, affermando che chi sostiene l’elettrificazione di massa del traffico stradale non ha considerato il carbonio che inevitabilmente se ne sviluppa; Con una riconversione troppo accelerata, argomentava il boss automobilistico, se tutte le auto funzionassero con quella risorsa il Paese rimarrebbe scoperto di energia elettrica in estate; senza contare che l’infrastruttura necessaria a ridefinire il parco veicoli in senso green-elettrico costerebbe al Giappone all’incirca 30-40 trilioni di Yen, vale a dire tra i 110 miliardi e i 300 miliardi di euro. Toyoda rincarava: i veicoli elettrici a batteria sono più inquinanti dei veicoli a benzina a causa della produzione di elettricità, ancora fortemente legata ai combustibili fossili, al carbone, che produce emissioni nocive. “Più veicoli elettrici si fanno, più crescono le emissioni di anidride carbonica”, accusa Toyoda, specificando che le emissioni totali di CO2 di un’auto elettrica sono circa il doppio di quelle impiegate per la costruzione di un’auto termica o ibrida.
Affermazioni che hanno scatenato un inevitabile vespaio e che sono state contestate da studi ed esperti, nessuno dei quali, tuttavia, ha potuto mettere un punto definitivo alla controversia. Quello che finora non sembra smentibile, è che per non intossicare devi intossicare; e pazienza se, alla faccia dei trattati quell’immenso continente a se stante che è la Cina apre centrali a carbone a raffica, all’insegna del realismo energetico. La Cina sta anche aprendo 800 nuove centrali nucleari, e, se pure è scientificamente provato che il nucleare resta ad oggi la forma di energia più “pulita”, resta sempre il problema dello smaltimento delle scorie; ma l’Europa si batte il petto, come se fosse un problema suo. Nel piano governativo italiano per ottenere i 240 miliardi della UE, tanto più esaltati dopo 14 mesi di crisi economica orchestrata, almeno 60 andranno per la cosiddetta “transizione digitale”, che però, ammesso e non concesso sortisca effetti, e in tempi non biblici, in tutto l’occidente impatterebbe sull’inquinamento globale per non più del 9%; se davvero il pianeta scoppia, come ripete Greta, lo si deve a quel 91% sino-indiano che non ha nessuna voglia di costringersi a sacrifici nella sua corsa al benessere. Ma né la ragazzina capricciosa né il papa ambientalista su questo dicono una parola e men che meno lo fanno i nostri presidenti filocinesi: nessuno osa disturbare il grande manovratore di Pechino.
Tornando alla dimensione automobilistica, la faccenda non è ancora finita. Le batterie elettriche, giunte a fine ciclo, presentano un serio problema di smaltimento, non molto diverso, ma molto più voluminoso, da quelle dei dispositivi elettronici. Così è la natura e la tecnologia, per quanto avanzata, non può cambiare la natura con le sue leggi entropiche.
La morale, alla fine, è la seguente: “L’elettrico è ancora un mercato per ricchi”. L’eco-moralismo però aggiunge: “il parco macchine in Italia è vecchio”. Dovremmo sentirci in colpa? Tanto più se “non è ancora certo che gli incentivi resteranno”? Vendere casa per farci l’auto elettrica forse non è ancora il migliore degli affari. Accogliamo allora le innovazioni, inevitabili e sempre opportune, ma possiamo almeno dire che la smania elettrica è ancora prematura malgrado l’immane battage che la stimola? Possiamo aggiungere che le auto d’epoca, veicoli di storia e di memoria, di cultura e di costume, oggi non esisterebbero se a suo tempo le avessimo archiviate come vecchie e inutili? Un giorno anche le auto elettriche esauriranno il loro ciclo, sostituite dalle navicelle: chissà se avranno maturato abbastanza carisma o se verranno ricordate solo per un tentativo velleitario nell’epoca di un politicamente corretto sempre più astratto.