Sulle oliere di rame e il sociale nelle nostre canzoni

Vi racconto questa strana passione di mia moglie per le oliere e come ha condizionato le nostre vacanze


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A un certo punto, anni fa, a mia moglie è venuta la fissa che dovevamo assolutamente avere una oliera di rame. Non ho idea di perché questa impellenza sia giusta nel mezzo del cammin di nostra vita, se ispirata da un giornale, un programma tv, una intuizione spontanea, ma so che di colpo è diventato qualcosa di fondamentale, ineluttabile. So anche, per esperienza, e forse anche per quel tipo di conoscenze innate che ci trasmettiamo attraverso il DNA, quelle che ci impediscono, salvo eccezioni tipo Brumotti, di fare idiozie che potrebbero mettere anche giustamente a repentaglio la nostra vita, tipo che non ci lanciamo dalle finestre dei piani alti dei palazzi, a meno che non ci si voglia far del male, o non si passino le mani sul fuoco, forse magari qualcuno ce l’ha pure detto con parole chiare, ma si sa che è sbagliato e non lo facciamo, è innato, ecco, so anche, per esperienza e anche per quel tipo di conoscenze inante che ci trasmettiamo attraverso il DNA, che quando mia moglie decide che una cosa è assolutamente imprescindibile l’unica possibilità che hai è assecondarla, assumere posizione a uovo e aspettare che passi tutto, come in genere, sempre per i medesimi motivi, le prede sanno essere intelligente fare con quei predatori che tendono a divertirsi nel togliere la vita alle prede e mai toccherebbero una preda che appia decisamente morta.

Della serie, il buon senso avrebbe anche potuto indurmi a dire che no, una oliera di rame non mi sembrava esattamente una priorità, avevamo già una oliera, di metallo, credo alluminio, confesso che il materiale di cui sono fatte le oliere non ha mai incontrato il mio interesse, come del resto un sacco di cose e buona parte delle cose che riguardano la cucina, ricordo che quando abbiamo comprato casa, la nostra prima casa insieme, abbiamo deciso, e leggete in questo plurale un grado di ironia piuttosto elevato, forse anche condito con un pizzico di sarcasmo, abbiamo comprato una cucina “importante”, di quelle che poi ti durano una vita, sta ancora di là, riadattata alla nostra nuova casa, perfettamente tenuta, per cura di chi la usa, io molto raramente, e perché ci è costata quanto un cuore al mercato nero degli organi, credo, e durante l’acquisto della cucina, che io incautamente e anche un po’ ingenuamente, che tenero che ero, ai tempi, pensavo durasse qualcosa come un’oretta, e nei fatti è durato due giorni pieni lavorativi, quando compri una cucina devi scegliere ogni minimo dettaglio e devi sceglierlo inizialmente a partire dalla planimetria della stanza che andrà a fungere da cucina, è evidente, ma poi giocando su scelte e sfumature inimmaginabili per un essere razionale, o anche vagamente dotato di buonsenso, dalla tipologia delle maniglie a come deve essere costruito il contenitore che andrà a ospitare le posate posto dentro il cassetto per le posate, cioè, non è che è qualcosa già definito, tu apri quel cassetto e ti trovi quegli spazi così suddivisi, i coltelli, le forchette, i cucchiai, i mestoli, no, c’è una vasta gamma di scelta, e tu passi ore a decidere se lo spazio per i coltelli lunghi e seghettati, tipo quelli per il pane, lo vuoi a sinistra o a destra, o magari in alto, ponendo ovviamente dalla parte opposta lo spazio piccolo, quello per i cucchiaini, circa venti ore della mia vita sfumate a scegliere cose che non incontrano neanche vagamente il mio interesse, non perché io ritenga che la cucina sia cosa da donne, intendiamoci, a volte cucino anche io, seppur non ci sia particolarmente portato, ma a me di sapere che un cassetto è suddiviso in un modo invece che in un altro, o che le maniglie possano essere opache o lucide, confesso, davvero non interessa, al punto che, in quel caso, alla duecentesima domanda rivoltami direttamente da parte della persona che era preposta a scegliere tutti i dettagli, persona che per correttezza chiedeva sia a mia moglie che a me, superata credo la diciannovesima ora passata in quel posto, mi sono sentito libero di fermarla e spiegargli che no, non era necessario chiedere anche a me, perché a me, in tutta onestà, poco interessava, fatto che forse è indicatore di una mia qualche debolezza acquisita con gli anni, perché, sempre per dire, quando stavamo per sposarci e si è trattato di fare la lista nozze, altro passaggio che si è portato via svariate ore della mia vita, sarebbe da farci un documentario su quante ore della nostra via se ne vanno in fumo dietro eventi di cui poco o nulla ci interessa, e non sto certo parlando dell’alienazione capitalistica del lavoro, quello è tema già abbondantemente affrontato e sviscerato, no, parlo di liste nozze, di assemblamenti di cucine componibili, vita ordinaria come quella cantata a suo tempo dai Curiosity Killed the Cat, guarda te che citazione vintage che ti vado a fare tanto per dimostrarti che sarò anche uno che in qualche modo subisce certe situazioni familiari, un debole avrei detto prima che definirsi deboli parlando di rapporti uomini e donne comportasse accuse, in parte sensate, intendiamoci, di sessismo e patriarcato, Dio che parola orribile patriarcato, sarò quindi anche uno che passa il suo tempo a assecondare la propria moglie riguardo argomenti e situazioni che ritiene irrilevanti, ma alla fin fine rimane un critico musicale attento, capace di passare da una hit minore degli anni Ottanta a un brano hardcore dei Novanta di cui nessuno ha ormai più memoria, questo arriverà più avanti, portate pazienza, nel caso della lista nozze, ero più giovane, ho scelto di operare in una maniera differente, capito che non sarebbe durata poco e che comunque il mio margine d’azione era relativo, inutile credere il contrario, ma doveva essere quantomeno abbozzato, per non far intendere che la cosa non mi interessasse, era la mia lista nozze, non quella di qualcun altro, ho deciso in pratica di dire un “No, questo non mi piace” ogni tot di “Sì, molto bello” detti cercando di dissimulare interesse, tenendo a bada la distrazione assai legittima, così, a caso, dieci sì e poi un no, secco, ineccepibile, così da rendere contenta lei, la mia futura sposa e anche la persona che ci stava seguendo in quella che a ben vedere è una delle operazioni che credo al mondo abbiano messo più a repentaglio la mia capacità di attenzione, credo che peggio di questo solo certi discorsi riguardo le case e o i parenti malati che in genere scaturiscono naturalmente durante i pranzi di Natale o Pasqua, o meglio, scaturivano quando ancora si potevano fare pranzi di Natale e Pasqua con parenti, al punto che la persona che ci ha seguito in quell’operazione che io ho vissuto come qualcosa di lancinante, ci ha fatto i complimenti, dicendo qualcosa come “Siete una delle coppie più affiatate che io abbia mai conosciuto, siete d’accordo quasi su tutto”, inconsapevole, credo, che non era tanto questione di essere d’accordo, quanto piuttosto di non opporre resistenza, sorta di via non violenta e gandhiana alla furia di mia moglie, io che quando ho compilato la domanda per fare il servizio civile mi sono rifiutato, come invece facevano tutti, di copiare pedissequamente la domanda prestampata, mettendoci giusto i miei dati, perché io non chiedevo di fare il servizio civile, l’obiettore di coscienza, per capirsi, in quanto “non violento”, ma in quanto “antimilitarista”, sono sempre stato dell’idea che la violenza in certi casi sia la sola risposta e continuo a pensarla così, più Malcolm X che Martin Luther King, a dirla tutta, al punto che quando poi a metà del servizio stesso ho chiesto e ottenuto di essere spostato dal dormitorio per senza fissa dimora presso il quale prestavo servizio in un più consono ufficio, perché un tizio mi aveva provato a accoltellare, nello scrivere il mio verbale a riguardo ho chiesto, ovviamente non ottenendolo, era una richiesta provocatoria e alle provocazioni non bisognerebbe mai rispondere, di essere dotato di un’arma e quindi di poter avere il porto d’armi, alla faccia della non violenza, sono non violento gandhiano solo quando si tratta delle smanie casalinghe di mia moglie, questo è evidente. Quindi confermo, il buon senso avrebbe anche potuto indurmi a dire che no, una oliera di rame non mi sembrava esattamente una priorità, avevamo già una oliera, di metallo, credo alluminio, ribadisco anche che il materiale di cui sono fatte le oliere non ha mai incontrato il mio interesse, ma ho preferito soprassedere, e passivamente lasciare che lei, mia moglie, cominciasse questa spasmodica ricerca dell’oliera di rame. Siccome quel che sto raccontando è accaduto qualche anno fa, prima, cioè, che Amazon invadesse neanche troppo pacificamente le nostre vite, andando a occludere ogni minimo spazio dedicato alle variabili su dove e come cercare qualcosa che si vuole acquistare, ora vai lì e novantanove volte su cento lo trovi, per dire, giuro, sono appena andato a controllare, per scrupolo, e di oliere di rame ne trovi anche parecchie, nonostante quel che vi andrò a spiegare a breve, ma all’epoca Amazon era una cosa che ancora non aveva permeato le nostre vite, come se fossimo in un romanzo steampunk, ci sono riferimenti al futuro, la rete c’era, i social anche, ma Jeff Bezos era ancora uno sconosciuto. Almeno ai più, e per comprare qualcosa si andava per negozi, si cercava di persona, l’e-commerce era di là da venire.

Così succede che le nostre vacanze estive, tra Marche e Abruzzo, con una puntata in Salento, Marche e Abruzzo che sono le nostre terre di origine, attenzione, non sia mai che qualcuno pensi che passo le estati in giro per l’Italia andando così a aprire una qualche querelle della serie “ti vanti”, le nostre vacanze estive sono state caratterizzate da continue soste in negozi di articoli casalinghi, ma anche di oggetti di artigianato locale, a volte anche semplici empori o piccoli supermercati, nei quali mia moglie si esibiva nella sua richiesta specifica, “Avete oliere di rame’”, richiesta che riceveva quasi sempre risposte negative, ma che, va detto, a volte incontrava incauti tentennamenti, della serie, no, non ce l’ho ora, ma potrei procurarmela, so dove potrei trovarla, lascia che faccia qualche telefonata. Il tentennamento, questo lo so bene e lo so bene per averlo vissuto su questa mia pelle martoriata, è errore ancora più grave che palesare disinteresse, perché se palesi disinteresse sei un uomo di piccolo conto, che non ha a cuore quelle che sono le necessità primarie di una famiglia, tipo una oliera di rame, o le maniglie della cucina, ma il tentennamento equivale giocoforza a alimentare il fuoco lieve della speranza, dell’illusione. Un no è un no, non lascia spazio a dibattiti, ma un forse, Dio mio, un forse è come un romanzo tutto da scrivere, non solo il finale, anche lo sviluppo della trama principale, di quelle secondarie, proprio tutto. Poi, intendiamoci, so di cosa parlo, anche un no, spesso, viene interpretato da mia moglie, e temo non solo da lei, così, a occhio, come un forse, se non addirittura come un “probabilmente sì”, ma un forse è inequivocabilmente un sì che ancora non ha avuto il coraggio di spiccare il volo. Così ho passato ore, svariate, a aspettare che un negoziante sentisse un rifornitore, o chiamasse colleghi in altri posti, o magari chiamasse un determinato artigiano, anche se magari eravamo solo di passaggio in un posto, consapevoli, quindi, almeno da un punto di vista meramente razionale, che se anche l’indomani la famosa oliera di rame sarebbe potuta arrivare, noi nel mentre saremmo andati altrove, senza la possibilità di tornare, poi è chiaro, mai dire mai, e ho assistito, quasi sempre, ai negozianti che, indossati le facce che in genere nelle serie tv medical, tipo Grey’s Anatomy, The Resident, The Good Doctor, insomma, ci siamo capiti, i medici indossano quando devono comunicare a un partente che, purtroppo, durante l’intervento sono sopraggiunte complicazioni, è stato fatto tutto il possibile, ma non c’è stato niente da fare, il paziente è morto, e nello specifico le facce erano atte a anticipare visivamente quello che la voce avrebbe solo in un secondo momento confermato, e cioè purtroppo durante la ricerca sono sopraggiunte complicazioni, la ricerca non è andata a buon fine, alla fine l’oliera di rame non è stata trovata, però volendo ce n’è una di alluminio.

Una intera estate così, ostinatamente così, caparbiamente così. Con noi, il resto della famiglia, io, i nostri quattro figli, a tratti mia suocera, fuori a aspettare, facendo finta di non sapere come sarebbe andata a finire anche questa volta, niente oliera di rame, ripassi tra qualche giorno. E so che dicendo così io risulto il maschio che in casa non fa nulla, fatto assolutamente non vero, abbiamo quattro figli, anche volessi, e non voglio, mi sarebbe impensabile riuscire a non fare nulla in casa, di quelli che si lamentano delle proprie mogli, anche lì, niente di vero, parlo spesso di mia moglie, stiamo insieme da oltre trentatré anni, non era a fini denigratori che ho scritto quel che ho scritto, era un racconto finalizzato a portare avanti un ragionamento, a breve capirete, e era un racconto anche piuttosto metaforico, seppur io per metaforizzare abbia pigramente deciso di ricorrere a un fatto realmente accaduto, anzi, accaduto a lungo, ripetutamente, che quindi richiederebbe l’imperfetto invece che il passato remoto, durante quell’estate noi andavamo a cercare oliere di rami per negozi, non andammo a cercare oliere di rami per negozi, mi sono giocato ore e ore di una vacanza cercando qualcosa che non abbiamo trovato, e che non abbiamo trovato perché non c’era, e che non c’era perché, questo ce lo hanno iniziato a spiegare già al secondo o terzo negozio nel quale siamo entrati, non alla fine, ma ciò non ha vanificato la pervicace volontà di mia moglie di trovare una oliera di rame, le oliere di rame non sono più in commercio perché è stato constatato che il rame dentro l’oliera si ossida, dando vita a non so che sostanza pericolosa, credo addirittura letale, ma evidentemente non altrettanto letale quanto la reazione di mia moglie se io le avessi fatto notare che ostinarsi a cercare qualcosa di introvabile e comunque pericoloso non era esattamente una idea geniale, quindi meglio morire, che so?, di botulino o di una qualche malattia col nome strano, probabilmente in latino, malattia che, fossimo in un episodio di Doctor House, lui, Doctor House scoprirebbe un attimo prima della nostra morte, facendo le sue congetture, le sue investigazioni astiose ma genialissime, ma vivendo noi in Italia, e soprattutto vivendo noi nella realtà e non in un episodio di Doctor House, probabilmente ci avrebbe uccisi tutti, e il caso sarebbe stato archiviato come una morte sospetta, probabilmente dovuta a qualche cibo avariato, all’epoca non avevo neanche ripreso a scrivere di musica, le mie inchieste neanche erano ipotizzabili, nessuno avrebbe mai potuto sospettare che qualcuno mi volesse avvelenare, oggi magari sì. Non sono un maschio che si lamenta della propria moglie, né che non si occupa delle cose di casa, e a dirla tutta ho a mia volta le mie fisse, se decido, per dire, che devo trovare un mio cd o un mio libro, che per ragioni che sfuggono a ogni logica e senso non si trova dove dovrebbe trovarsi nella mia discoteca o libreria, che appaiono entrambe disordinate ma sono nei fatti ordinatissime, so esattamente dove cercare cosa, ecco, se non lo trovo sono capace di passare ore e ore a cercarlo, spostando, rispostando, togliendo e mettendo, finché non trovo la mia oliera di rame. Idem se cerco di comprare, che so?, un libro usato, una prima edizione, qualcosa di introvabile. Solo che lo faccio da solo, senza coinvolgere il resto della famiglia, e soprattutto evitando di farlo durante le vacanze, quando di cose da fare ce ne sono di più interessanti e quando per fare quelle cose si sono spesi dei soldi, per altro, così, tanto per dar vita a dell’acidume.

 Nella mia cucina, la medesima scelta dopo due giorni di agonia dentro un negozio specializzato, costata come un cuore di una vergine comprato al mercato nero, e per il prezzo di un rene di un bambino albino rimodellata sulla pianta della cucina della nostra nuova casa, c’è una oliera di metallo, credo acciaio. Una oliera che per altro goccia, per cui sotto l’oliera teniamo un piatto del servizio buono, quello scelto in altri due giorni quando abbiamo stilato la nostra lista nozze, ormai ventidue anni fa. La avessimo trovata di rame, ora è fattibile su Amazon, Dio non voglia che mia moglie legga queste mie parole, rischio che non dovrei correre, in genere non legge mai cosa scrivo, sono sì coraggioso, sfido le multinazionali della musica con le mie inchieste, affronto a muso duro i fan dei Big che stronco con le mie recensioni, ma non sono così stupido da ironizzare su mia moglie pensando che lei se ne accorga, non scherziamo, la avessimo trovata sarebbe stata una oliera in rame al cui interno si sarebbe trovata una copertura in acciaio, perché il rame ossida, e Doctor House è un personaggio di fantasia.

Io sono anni che cerco di capire perché da noi si tenda a scappare dalla realtà, parlo di chi fa arte e quindi in qualche modo avrebbe a disposizione uno strumento per raccontarcela, la realtà, spiegarcela, o magari anche solo riuscire a farcela digerire meglio, andando a concentrarci nelle canzoni su tematiche legate ai sentimenti più che al sociale, al personale più che al politico, non dico che vorrei tutti impegnati tipo i Rorshach, ricordate l’hardcore anni Novanta cui facevo riferimento prima?, ma almeno qualcosa che provi a uscire dal chiuso della propria cameretta e guardi negli occhi il mondo, cerco di capirlo e non trovo risposta, magari sarà fuori produzione perché a contatto con l’olio ossida e renderebbe il tutto pericoloso, come succede col rame.