Un viaggio nel mio Metaverso per arrivare a parlare di Francesco Di Bella

Francesco è uno dei nostri artisti più interessanti, uno che potrebbe serenamente stare sia in un discorso sulla nostra musica alternativa che sul cantautorato, un'artista che tutti dovrebbero ascoltare


INTERAZIONI: 728

Tempo fa ho avuto questa idea, sfidare i cantanti italiani a Subbuteo, e intervistarli durante la partita, sotto l’occhio impietoso di una telecamera. Certo, una scelta sessista, perché credo che il Subbuteo sia un gioco al 99% praticato da uomini, e anche agista, perché credo che il Subbuteo sia un gioco praticato esclusivamente da gente nata prima degli anni Ottanta. Ma chi se ne frega di sessismo e agismo, se il punto è avere una idea originale per intervistare qualcuno. Del resto, e che cazzo, scrivo quasi sempre e solo di artiste donne, potrò ogni tanto lasciarmi andare a qualcosa che risulti vagamente cameratesco e effimero? Ripeto, pur di fare un’intervista interessante sarei disposto a finire in una di quelle shit storm inutili che ormai vediamo quotidianamente.

Questa mia ultima frase merita due righe di spiegazione, credo. No, non parlo delle shit storm, non credo ci sia bisogno di spiegare quel passaggio, sufficientemente chiaro. Parlo delle interviste interessanti. A me fare interviste fa abbastanza cagare. Anche leggerle, in genere, salvo, che so?, quelle di Simonetta Sciandivasci e Bruno Giurato, ma in quei casi, come negli altri, potrebbe anche essere una questione legata a chi le scrive, e non a chi ne è oggetto. Non mi piace l’idea della domanda e risposta, preferisco semmai la chiacchierata, nella quale esporre il mio punto di vista, non solo star lì a chiedere quello dell’intervistato.

Questo parte da un mio pregiudizio di fondo, pregiudizio che in realtà è un giudizio consolidato da oltre venticinque anni di interviste, la stragrande maggioranza degli intervistati non ha un cazzo da dire. E se anche ce l’ha, una volta detto, puoi metterci una mano sul fuoco che quello che ti ha detto lo dirà anche a altri, praticamente in tutte le interviste che andrà a fare. Sempre che non lo abbia già detto prima di incontrare te. Figuriamoci quindi come io guardi alle conferenze stampa o alle round table, cioè le interviste di gruppo. Insomma, non mi piace fare interviste, e non mi piace affatto l’idea che si guardi a chi fa le interviste come una sorta di amplificatore della propria carriera, di un evidenziatore della promozione. Del resto le interviste vengono quasi sempre fatte sotto promozione, normale che qualcuno le veda così.

Quindi, se proprio le devo fare, e ne faccio davvero pochissime, almeno scritte, tendo a farle in situazioni nelle quali l’intervistato sia impossibilitato a mantenere la lucidità necessaria a rifilarti tutto quel che una sana promozione prevederebbe di suo, quindi o in condizioni di stress, e su questo il fatto che io abitualmente passi per uno stronzo, uno cattivo, uno temibile e temuto, già mi agevola, o in condizioni di estremo relax, e anche qui, potrebbe sembrare un paradosso, ma vado via piuttosto bene.

Negli anni, infatti, mi sono messo in evidenza, parlo di addetti ai lavori, intendiamoci, per tutta una serie di interviste non canoniche, anomale, bizzarre, più spesso in situazioni nelle quali di solito ci si trova con amici o amori, sicuramente non quando si lavora. Ho fatto interviste alla SPA, in vari contesti all’interno delle QC Terme di Milano, dalla sauna, alla stanza del sale, passando per gli idromassaggi, e qui era un mix di relax, quei posti a questo inducono, e stress, essere in costume sicuramente non ti mette a tuo agio, specie se c’è una telecamera, anche se la mia panza decisamente aiutava in tal senso. Ho fatto interviste a tavola, proponendo cibi e vini della mia regione, il primo preparati da uno chef esperto in leccornie marchigiane, i secondi presentati da un sommelier con esperienza internazionale. Provateci voi a rimanere sulle vostre mangiando pappardelle al sugo di papera o olive ascolane mentre vi calate un paio di bicchieri di Rosso Piceno, se ce la fate. Ho anche fatto interviste a letto, in piscina, seduto su un van, sempre e comunque non seduto a un tavolo di una casa discografica, a Sanremo lontano anche fisicamente dalla Sala Stampa o dai divanetti degli alberghi.

Non che queste interviste siano state cose inaudite, con rivelazioni o scoop, intendiamoci, ma almeno non mi sono rotto io i coglioni mentre le facevo, e immagino non se le siano rotte neanche gli intervistati, abituati come me a questa routine.

Prima di mandarmi definitivamente a quel paese coi tipi del Fatto Quotidiano, per vicende che col mio lavoro poco avevano a che fare, lì si trattava più che altro di ingerenze legate a personalismi che il mio mestiere aveva toccato, non certo al merito di quello che avevo scritto, avevo anche messo su con il Loft, che è la casa di produzione tv di quell’editore, un programma il cui format si basava proprio sul costruire interviste ad hoc con i cantanti, andando a prendere una loro peculiarità e provando a farne un evento, evento durante il quale io, intervistatore, sarei ovviamente stato in difficoltà rispetto l’intervistato, faccio un esempio, intervistare Jovanotti mentre si era in bicicletta per gli Appennini Toscani, ma dove in tutti i casi si sarebbe creato un clima informale adatto a tirare fuori qualcosa di interessante. Tra queste, appunto, interviste in vasca da bagno, durante una partita di calcio della Nazionale Cantanti, in un’osteria a sbronzarsi.

Ovviamente non ne abbiamo fatto nulla, ci siamo appunto mandati a quel paese, anche se qualche idea, quella della vasca da bagno, per dire, deve essere rimasta appuntata in evidenza, visto che l’hanno usata per altri programmi.

Non ricordo con chi, in quel caso, ma a un certo punto era prevista la mia famosa intervista giocando a Subbuteo. Magari il cantante era più forte a PES, per dire, ma il Subbuteo ha un fascino vintage che in tv spaccherebbe, e io, va detto, sono mostruosamente bravo col calcio in punta di dito, quindi avrei quantomeno umiliato l’avversario, dominando la partita e ponendo quindi il mio interlocutore in uno stato di sudditanza psicologica, hai voglia a farmi dire indiscrezioni e confidenze. Anche se, torno a dire, probabilmente la parte più interessante sarebbe stata proprio la partita, noi due, chiunque fosse l’altro, chini sul panno verde a giocare come fossimo bambini.

Le traiettorie dei pupetti, i goal, altro che le chiacchiere. Delle chiacchiere dei cantanti, diciamocelo, non frega nulla a nessuno, men che meno a me. Raramente hanno cose interessanti da dire, fuori dalle canzoni, spesso anche nelle canzoni, meglio vederli fare qualcosa di insolito, umanizzandoli, piuttosto che sentirli dire banalità, spesso accompagnate dal compiaciuto assentire di chi dovrebbe porre domande atte a far scaturire verità e che invece quasi sempre finisce per fare da tappezzeria, se non da tappetino per i piedi.

Ai primi tempi nei quali scrivevo di musica, dove gli articoli, nel senso di pezzi lunghi, erano quasi sempre interviste, ho più volte avuto scontri col caporedattore e con la direttrice, perché, mi dicevano, lasciavo sempre troppo poco spazio ai virgolettati. Ma vi garantisco che era un atteggiamento a fin di bene, perché lasciare poco spazio a quel che dicevano non poteva che giovare alle loro carriere, invece appoggiate quasi sempre su musiche interessanti, o quantomeno di buon successo.

Per dire, ricordo una intervista fatta alle T.A.T.U., il duo di ragazzine pseudolesbichi provenienti dalla Russia e prodotte da Trevorn Horn, intervista tutta a base di pose e frasi a effetto, chiaramente frutto di un copione che le due recitavano a memoria, piuttosto odiose nel farlo, avessi lasciato spazio a quelle idiozie non avrei portato a casa altro che una marchetta

Poi, è chiaro, ci stava pure, e ci sta ancora oggi, una forma quasi patologica di narcisismo, il mio, che ha fatto sì che sin da allora, parlo di quando scrivevo su Tutto Musica, una ventina di anni fa, mi ha portato a creare il personaggio del punk eversivo contro tutti e tutto che ben conoscete, personaggio che ha sempre posto se stesso dentro i propri racconti, il me stesso personaggio, sia chiaro, avessi lasciato che a parlare fossero solo gli artisti la cosa non sarebbe stata possibile. Per questo, anche per questo, in vita mia non ho mai scritto, credo, un’intervista fatta di domande e risposte. Piuttosto ho inserito i virgolettati nel discorso, il mio discorso.

Proprio il mio ultimo articolo uscito per quella storica rivista, nel numero di dicembre del 2004, poi ha chiuso i battenti, era un giochino fatto a distanza con redattori e direttrice. Mi avevano per l’ennesima volta bacchettato per il mio uso reiterato dell’io, citando le regolette del giornalismo e quelle facezie lì, allora ho optato per iniziare il mio pezzo, il resoconto di un viaggio fatto al Circolo Polare artico per seguire Cristina Donà ospite d’onore di un improbabile festival italo-norvegese a Vadsoe, lì dove Umberto Nobile era partito alla volta del Polo Nord, pezzo piuttosto ironico, come la solito, con lei, Cristina, che mi rassicurava per la momentanea assenza di orsi polari da quelle parti, fatto per altro rispondente in tutto e per tutto alla verità. Il pezzo iniziava proprio così, con Cristina Donà che mi diceva “Michele, tranquillo, gli orsi non ci sono più”, a parte il Michele, è ovvio, le altre parole le ho ricostruite a memoria, andando a senso. Col risultato che, siccome la prima parola di ogni articolo, graficamente, era resa con un corpo decisamente più grande di quello delle altre, un po’ come facevano i frati amanuensi quando miniavano la Bibbia, su quella pagina c’era il mio nome, Michele, gigantesco, e poi tutto il resto. Non uso la parola io, questo il giochino, ma ci sono eccome. Stesso trucco, diciamo così, anche se era tutt’altro contesto, cioè un libro, quando l’anno successivo ho intervistato Ambra a chiusura di un libro scritto a quattro mani con Giuseppe Genna su Costantino Vitagliano, il primo tronista di Maria De Filippi, lei, Ambra, la prima a aver necessitato del solo nome, esattamente come poi Costantino, la prima divenuta famosissima con una tv universalmente identificata come la morte dei “contenuti”, Non è la Rai, ha parlato a lungo, al punto che da lì è poi partita l’idea di fare un programma insieme, Stasera Niente MTV, ma nel libro neanche una sua parola è stata riportata, e gli unici virgolettati di quel capitolo sono i nostri, finali, sotto forma di saluti. Un trucco narrativo, certo, ma che è figlio di un pensiero piuttosto radicale, anche nel caso, come quello, in cui l’intervista presenti spunti molto interessanti.

Altrimenti, ripeto, funzionano meglio i pezzi in cui gli artisti stanno zitti, figuriamoci se uno volesse essere fedele alle parole dell’artista e riportarle una dietro l’altra per come sono uscite dalla loro bocca, sarebbe la sagra della banalità e degli strafalcioni, quasi sempre. Nel senso, quando intervisti qualcuno devi registrare, perché se poi l’intervistato dovesse contestare quel che dici fanno fede le registrazioni, ma col cazzo che agli intervistati non sta bene che tu abbia reso le loro parole più belle, esteticamente, e anche più interessanti, su quello tutti muti, manco un grazie di cuore per aver reso loro un favore (gli intervistatori a volte sono i ghost writer degli intervistati, diciamolo una volta per tutte). Ho una serie di registrazioni, sappiatelo, che farebbero inorridire gli insegnati di una scuola serale, e non si legga queste mie parole come uno spocchioso e snobissimo atto di bullismo, anche le interviste agli scrittori fanno spesso cagare, anche quelle che mi è capitato mi malgrado di fare come intervistato. E non sempre e solo per le domande che mi sono state poste, spesso anche per le mie risposte. È la formula, già in partenza, che mi lascia perplesso.

Quando poi le interviste avvengono via mail, in forma scritta, senza quindi la possibilità di seguire un flusso, o quando chi viene intervistato chiede prima le domande, per prepararsi le risposte, o quando l’intervistatore ti chiede, a te che devi essere intervistato, se le vuoi sapere prima, ecco, a me muore tutta la poesia. Per dirla con Fossati, che per altro ho avuto il piacere di intervistare quando ormai si era ritirato e nulla aveva di promuovere, sì, piacere, a volte certe chiacchierate mi farebbero anche ricredere, non fossero mosche bianche su una tavola apparecchiata di merda, “La nostra vita. Non costruzione. Jazz”. L’idea delle interviste durante le partite di Subbuteo, confesso, non è finita nel tritatutto, sta lì, e visto mai che prima o poi non veda la luce, come buona parte delle strampalatezze che mi passano per la testa, questo mio scriverne e parlare di interviste, in realtà aveva due altri scopi, abbastanza precisi.

Primo, contribuire a cristallizzare un mio pensiero a beneficio degli uffici stampa (uso privato di uno strumento pubblico, potrebbe azzardare qualcuno, non fosse che lo strumento in questione è il mio diario, quindi, tecnicamente, ci posso davvero scrivere quel che mi pare, compreso questo monito), non amo fare interviste scritte, non proponetemele. Amo poco fare quelle video, soprattutto se canoniche. Capisco il momento ostile, tutto in remoto, ma prima o poi tutto ciò finirà, e sarò ancora meno interessato di intervistare qualcuno che ha tirato appena fuori un singolo, a meno che ciò non accada mentre ci buttiamo legati per le caviglie a un elastico da un ponte o mentre siamo al poligono di tiro a provare a colpire al cuore un poster rappresentante il presidente della squadra per cui tifo, Preziosi. Secondo, quindi,  per portare il discorso, con una di quelle giravolte che agli occhi di chi non ha mai letto questo diario o più in generale un mio scritto potrebbe risultare quantomai spericolata, ma che in realtà, lo ammetto, è piuttosto canonica, un tiro da tre eseguito da un play che però fa sempre tiri da tre, mai schiacciate sotto canestro, per portare quindi il discorso verso un nome che di cose interessanti da dire durante un’intervista ne ha, o meglio, salto mortale nel salto mortale, ne avrebbe, perché nei fatti, fedele al mio credo, non l’ho intervistato.

E dire che avrebbe anche almeno un paio di cose da promuovere, la ristampa in vinile di un capolavoro assoluto come Metaversus, ventidue anni dopo la sua pubblicazione, e un featuring, in ottima compagnia con Fabrizio Bosso, nel singolo Coarmare del cantautore abruzzese Setak, di cui andrò a parlare prossimamente, quando uscirà il suo secondo album Alestalé.

Lo so, sono il solito gigione, non ho citato il nome di colui di cui sto parlando, per altro consapevole che già lo conoscete, perché sta lì, nel titolo del pezzo, pirla che non sono altro, ma mi piace giocare, che ci volete fare, son fatto così.

Francesco Di Bella, è evidentemente di lui che sto parlando, è uno dei nostri artisti più interessanti. Non parlo di un genere specifico, lui potrebbe serenamente stare sia in un discorso sulla nostra musica alternativa, coi suoi 24 Grana, erano loro i titolari di Mevarsus, ha contribuito più di molti altri a rendere grande la stagione a cavallo tra la fine dello scorso millennio e l’inizio degli anni Zero, come potrebbe stare in un discorso sul cantautorato, volendo gli si potrebbero attribuire paternità riguardo l’indie, anche se gli voglio bene e non gli farei mai questo torno, e indubbiamente sta di suo nell’ambito folk, per quel suo cantare in dialetto, e anche per Nuova Gianturco e O’ Diavolo, due dei suoi quattro album solisti che da quelle parti si muove con grande maestria, parlo in generale della musica italiana. Francesco Di Bella è dotato infatti di una voce incredibile, capace di trasmettere emozioni già alle prime note emesse, empatico come pochi altri in questa nostra patria malconcia, ma è soprattutto dotato di una penna incredibile, precisa, poetica, affilata, emotiva. Anche quella, in fondo, è una voce, perché la penna è madre di un linguaggio, il suo, prima al servizio dei 24 Grana, andatevi a risentire proprio Metaversus, quel misto appunto di rock alternativo, elettronica, tradizione napoletana, cantautorato, pop, dall’hardcore di Vesto sempre uguale all’incedere cupo, a metà strada tra trip-hop e Big Beat di La costanza, vero gioiello di rara bellezza, per arrivare alla leggerezza solo in apparenza spensierata di Stai mai cca , un album che andrebbe fatto ascoltare con la Cura Ludovico a chiunque voglia affrontare la forma canzone in Italia oggi, quel misto tra cyberpunk e steampunk, futuro e tradizione, Neal Stephenson, quello di Snow Crash e del ciclio barocco a regalare il titolo, punto più alto di una carriera che sempre in alto è stata, onore che Metaversus condivide indubbiamente con K-Album, altro capolavoro assoluto, Kevlar un diamante ancora perfettametne conservato, ‘E kose ka spakkano una delle mie canzoni del cuore, quelle che mi raccontano come io non saprei fare in mille pagine, “Vurria pensa’ ca vote è pure ‘o vero/ ca si nun crisce nun sei nate bbuno”, Madonna quanta poesia in due versi.

Lui, Francesco Di Bella è uno che tutti dovrebbero stare a ascoltare, non ho dubbi a riguardo, non a caso, quando lavoravo in Mondadori alla collana che dentro la Piccola Biblioteca Oscar era destinata a ospitare i più importanti nomi della scena underground italiana, da Manuel Agnelli a Cristina Donà, passando per La Crus, Massimo Zamboni e affini, a lungo abbiano cullato la speranza di poter ospitare un suo testo, voce autorevole, sicuramente, ma anche dotata di un peso specifico altissimo, forma che sposa in toto la sostanza, poetica che traduce una visione nitida.

Il mio parlarne qui, in coda a un pezzo che parla dell’inutilità delle interviste potrebbe suonare pretestuoso, e sicuramente lo è, ma sono giorni che Metaversus sta lì, sul mio stereo, in versione vinile, anche io ho voluto portare voi nel mio Metaverso, dove il mio Avatar, quello cattivo e temibile, per arrivare a parlarvi di un artista da andare a ripescare e da tenere in conto è voluto/dovuto partire da lontano, una partita di Subbuteo mai giocata, un’intervista mai fatta.

Già mi meraviglio di avere avuto voglia di scrivere, non state lì a sottilizzare, diamine: “Mo m’eva asci’ sta forza?/ Mo m’eva ascì che nun so’ allero?/ E vvote gira stuorto/ Me so’ fermato senza e ce pensa’”.