Luigi Friotto, il mare e i fiumi

Luigi Friotto è un’eccellenza del nostro cantautorato. Un’eccellenza che però occorre raccontare, indicare, mostrare


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C’è una canzone di Daniele Silvestri. O meglio, c’è una canzone cantata da Fiorella Mannoia e scritta da Daniele Silvestri per lei, contenuta nell’album Belle speranze del 1997, si intitola Il fiume e la nebbia, e parla del Po. A un certo punto, accompagnata da un giro di chitarre acustiche, Fiorella recita “Perché in fondo il mare ha un lato un solo lungo lato blu/ e anche lo sguardo più allenato/ non può vederne mai di più/ mentre chi vive accanto a un fiume/ anche se è grande come qui/ vede benissimo il confine/ e non può credere ai miracoli”.

Una bella lettura delle differenze che passano tra chi guarda ai fiumi e al mare, e che vicino a un fiume o al mare è nato. Due modi direi inconciliabili tra loro, come se il mare concedesse libertà che un fiume ammazza sul nascere, ammantando di nebbia e di disillusione la vita.

Ecco, dopo un anno e passa come quello che la pandemia ci ha imposto, stavo per scrivere “regalato”, pensa te come sto messo, e dopo oltre otto mesi che non vedo più il mare, fatto per me inedito, io in una città di mare ci sono nato e cresciuto, ci ho vissuto i primi ventotto anni della mia vita, ci sono sempre tornato con una certa frequenza, lì vivono i miei genitori, mio fratello e mia sorella con le relative famiglie, i miei amici di quando ero giovane, ancora tali, è proprio di quel senso di libertà, magari anche illusoria, che sento di avere incredibile bisogno.

Torno quindi con la mente al mare, almeno quella, la mente, non ce la possono ingabbiare, anche se devo dire che l’apatia tira su muri anche più alti e invalicabili che la paura.

È estate, siamo quasi al tramonto, dalle parti di Montesilvano, in terra d’Abruzzo.

Ci fossimo organizzati prima, per tempo, saremmo potuti essere a San Vito Chietino, o a Fossacesia, nella cosiddetta costa dei trabocchi, con un paesaggio decisamente più fascinoso, ma va bene anche qui, anche così.

Siamo in spiaggia, e se dico siamo intendo io e la mia famiglia al gran completo, più una coppia di amici, Costantina e Francesco. È stata Costantina a portarci qui, per un evento, ci ha detto, che non possiamo affatto perderci.

Stiamo mangiando pizza al trancio, ma questo è un dettaglio che fornisco solo per rendere questo racconto più vivido, l’odore del pomodoro e dell’origano, del rosmarino, misto a quello della salsedine e della sabbia inumidita, ci siamo capiti.

Abbiamo appoggiato dei teli da mare, noi li chiamiamo asciugamani, sulla sabbia, perché la sabbia è fastidiosa e ti si infila ovunque non volendone sapere di lasciarti, non a caso poi la si usa come metafora di ossessiva insistenza.

A pochi passi da noi, sul bagnasciuga, c’è quella che potrei definire una grande chiatta. Non una cosa gigantesca, inendiamoci, il corrispettivo di una stanza da letto medio grande stando agli standard di Milano. È tenuta ferma da dei pesi, tipo ancore ma molto più vistosi. Il suo essere lì, della chiatta, è il medesimo del nostro essere qui, sui teli da mare a mangiare pizza al trancio, a breve ci sarà un concerto. Costantina dice che è anche più di un concerto, un vero e proprio spettacolo, non posso che fidarmi di lei.

Chiaramente le funzioni della chiatta e la nostra sono diverse, la chiatta fungerà da palco, noi da pubblico. Da parte del pubblico, perché questo pezzo della spiaggia di Montesilvano è pieno di gente, tutti suppergiù nelle nostre medesime condizioni. Oggi grideremmo all’assembramento, ma siamo in epoca pre-Covid, semmai viene da sorridere per un evento che si prepara a aver ottimi riscontri di pubblico.

Siamo a Montesilvano, in spiaggia, al tramonto, sbocconcellando pizza al trancio seduti sui nostri teli da mare perché tra poco andrà in scena lo spettacolo  Concerto sull’acqua, di Friotto e Bandautore, con  la partecipazione di Cromaticoro e il corpo di ballo di Cristina Nudi.

Sarà un grande spettacolo, lo dico subito, questa non è la recensione di un live, e lo sarà per un motivo che mi induce a spendere più di qualche parola proprio su Friotto, al secolo Luigi Friotto, perché quando si è grandi artisti, non fossilizzatevi sul successo e sulla fama, io non sto parlando di popolarità ma di arte, è facile che si tenda a rendere artistico anche qualcosa che si sarebbe potuto portare a casa in scioltezza, complice la bella location e un repertorio, le canzoni che di acqua e mare trattano, davvero vasto.

Luigi Friotto è un’eccellenza del nostro cantautorato, abruzzese di Lanciano, classe 1981. Un’eccellenza che però occorre raccontare, indicare, mostrare. Fossimo in un servizio del Tg, rubrica Costume e Società, diremmo che è “il segreto meglio custodito della musica d’autore italiana”, fatto per altro piuttosto attinente al vero, ma il motivo del suo essere sottotraccia è in parte dovuto alla sua stessa essenza artistica, meticolosa, minuziosa, attenta ai particolari e ai dettagli, nella convinzione, più che coerente e legittima, che una canzone sia tale anche se eseguita solo per voce e pianoforte, magari, ma che una canzone pensata per essere eseguita con uno specifico arrangiamento, che magari prevede una fisarmonica, un flauto dolce, una determinata percussione, un violino, un piano, meriti di essere assecondata e eseguita nella sua forma più completa, fatto che richiede tempo, energia, denaro.

Prova potrebbe esserne, foste anche voi qui con noi, in riva al mare, a guardare le ballerine che escono dall’acqua nera della notte, come i tigrotti di Mompracem di salgariana memoria nel loro attaccare le navi di Lord Brooke, mentre Friotto e la Bandautore, col coro di voci incredibile del Cromaticoro esegue un brano di De André o un inedito, davvero difficile capire sul momento la differenza, so di dire una enormità ma lo faccio a ben vedere e soprattutto a ben sentire, proprio lo spettacolo Concerto sull’Acqua, perfetto in ogni suo passaggio, qualcosa che dovrebbe ambire a girare in tutte le località di mare della Penisola, e anche fuori, ma che invece fatica a trovare committenti, l’arte ha un costo, ignorarlo è da sciocchi, fingere di non saperlo da ipocriti.

Friotto, per questa sua ossessiva ricerca della perfezione, del suono giusto, della parola giusta, ha fin qui centellinato le sue uscite, usando i suoi spettacoli, perché spettacoli sono, uscendo dal concetto di concerto per sposarne uno più ampio, nel quale subentra anche il balletto, per finanziare la sua opera, incidere brano complessi e con arrangiamenti che prevedono la presenza di strumentisti, non di plug-in, ha un costo, siamo sempre lì.

Nel 2014, parliamo di sette anni fa, uno in più di quanti ne passarono tra Crêuza de Mä e Le Nuvole e poi tra le Nuvole e Anime Salve, tanto per fare due esempi non a caso, incide le cinque canzoni che andranno a comporre la tracklist di Lucernario, Ep che uscirà a gennaio 2015 e che presenta un artista ispirato, perfettamente ascrivibile al novero dei grandi cantautori, quelli che hanno formato la nostra tradizione di canzone d’arte.

Come dicevo prima, difficile credere che brani quali Il posto dei porti o Santofuoco, per non dire da Canto di passaggio, singolo del 2016 fuori da quel lavoro, siano opere recenti di un cantautore nato negli anni Ottanta, e non piuttosto il frutto dell’ingegno e del talento di artisti considerati a ragione immortali come un Fabrizio De André o un Angelo Branduardi, come è difficile credere che a lavorare alla produzione e a quei suoni così precisi e ricercati non siano state le mani sapienti di un Mauro Pagani quanto le stesse mani di Friotto in compagnia di Lucio Piccirilli.

Una volontà, non saprei dire se razionale o istintiva, sempre che esista una volontà che non passi dalla ragione, a togliersi da quella mesta faccenda del passare del tempo, faccenda terrena di cui l’arte dovrebbe per sua natura non tenere affatto conto, con conseguente aspirazione a una forma di eternità che parte dal classico, l’atemporale per definizione, affondando le radici nella tradizione ma con lo sguardo rivolto verso l’alto, oltre la linea dell’orizzonte, nessuna paura di bruciarsi col sole.

Luigi Friotto, negli anni lì a intraprendere altri tour impegnativi, il Concerto sul mare è diventato anche Concerto sul Lago, e poi Concerto di Acqua e di terra, sempre location preziose e ricercate, la medesima cura riservata ai suoni (e alle parole, nel caso delle sue canzoni) proiettata verso lo sguardo, la visionarietà di chi non sa o non vuole/può sapere che esistono dei limiti ai sogni e per questo si incaparbisce a sognare, da tempo sta lavorando al seguito di Lucernario, altre canzoni destinate a finire dentro quei suoi concerti così suggestivi, e dentro dischi da ascoltare fermandosi, prestando attenzione, nella modalità opposta a quella che oggi ci descrivono come la colonna sonora dell’epoca della frammentarietà, quindici secondi buoni da finire dentro un video di Tik Tok, e poi via, a ascoltare altro.

Nel mentre sta lavorando alle musiche di uno spettacolo dedicato a Giuda Iscariota, La contesa.

Quel che viene da chiedermi, sapendolo al lavoro, e sapendo come sia un lavoro certosino, paragonabile a chi si dedicava alle miniature, a chi lavorava di cesello, è come sia possibile, oggi, che un talento del genere non venga tutelato a mo di come il WWF fa coi panda.

Di come, cioè, non ci siano appassionati di musica, discografici, editori, promoter, che se ne vadano in giro con una t-shirt con su la sua faccia, scherzo, di come non lo sostengano producendolo, finanziandolo, lasciandolo libero di lavorare come sa lavorare, consentendogli quindi di potersi slegare da mere faccende quotidiane.

Forse è sbagliato come ragionamento, perché in questi tempi mesti, nei quali sembra che le views e gli stream stiano dettando la linea editoriale a discografici e mercato, un artista che scrive brani di sei minuti, con una introduzione che neanche entrerebbe in un video di Instagram, sopra il minuto com’è, non è certo da questi figuri che dovrei aspettarmi un moto di dignità, o anche solo un momentaneo barlume di lucidità. Mi chiedo, allora, perché non sono i premi, penso a Musicultura, al Club Tenco, o ai tanti premi che si propagano in giro per lo stivale, a prendersi cura di lui, a tutelarlo, a proteggerlo, o anche solo a produrlo. Vorrete mica farmi credere che un Fabio Cutro o un Fulminacci giochino nel suo stesso campionato, tanto per fare un paio di nomi?

Potrei ora giocare la carta della finzione, e dire che è questo che sto pensando in questo preciso momento, seduto sul mio telo da mare, i cartoni con la pizza al taglio, ormai finita, affastellati sulla sabbia, poi sarà ovviamente nostra premura gettarli negli appositi cassonetti, le note della Bandautore e le voci del Cromaticoro a accompagnarlo mentre ci conduce a spasso tra canzoni e mare, la notte che ha ormai preso il posto dell’imbrunire, ma nei fatti non sto pensando a niente, lasciando che sia il cuore, almeno per un po’, a “dettare l’agenda” e farla da padrone.

Il mare, del resto, Luca Carboni la sapeva lunga già oltre trent’anni fa, non è mai solo acqua, ben lo sappiamo noi che siamo nati a due passi da lui, e che abbiamo inconsapevolmente lasciato, non che avessimo altra scelta, che fosse lui, il mare, a fornirci ritmo e melodia.

Torniamo quindi alla distinzione poetica praticata da Daniele, e è scontato che mentre dico “distinzione poetica” mi saltino alla mente i versi di Lucio Dalla “Certo, chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche/ Il pensiero come l’oceano non lo puoi bloccare/ non lo puoi recintare”, torniamo a quel guardare al mare come a un luogo che ci lascia il lusso dell’illusorietà, contrapposto al più concreto fiume, per altro i due brani potrebbero essere portati avanti in parallelo, quasi a sostenere la medesima tesi.

Medesima tesi che mi porta a farmi una insistente domanda: ma prima o poi Luigi Friotto tirerà fuori anche un Concerto di fiume?