Amanda Palmer, capezzoli come armi contundenti

Amanda Palmer è una grande artista e una grande donna capace di essere oltraggiosa senza scalfire di un minimo il suo indiscusso valore artistico


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Scrivo di musica.

Non solo, ma prevalentemente di musica.

Non scrivo di sentimenti.

Lo faccio, indirettamente, a volte, sui social, o in questo diario che va avanti da più di un anno, ma solo perché racconto la mia vita, e nella mia vita ci sono parti che riguardano i sentimenti, si tratti di mia moglie Marina o dei miei quattro figli, Lucia, Tommaso, Francesco e Chiara. E nel farlo, indirettamente, cerco di essere sempre diretto, senza filtri, esattamente con la stessa attitudine con cui parlo di musica. E esattamente per lo stesso motivo, perché intendo colpire il lettore dritto in faccia, volendo anche spiazzandolo, senza lasciare spazio a interpretazioni che non siano le mie.

Non scrivo di sentimenti, invece, quando scrivo di musica, perché ho difficoltà, credo come un po’ tutti, a decodificarli. O meglio, a trovare le parole che mi aiutino a renderli decodificabili, raccontabili, leggibili anche agli altri.

L’amore, la passione, per dire, mi risultano difficili da descrivere, senza correre il rischio di svilirli, di renderli piatti, sulla pagina o sullo schermo.

Preferisco non scriverne, e morta lì.

Però a volte, neanche troppo raramente, mi capita di scrivere di musica con le parole con cui, in genere, si trattano proprio i sentimenti, non necessariamente i sentimenti edificanti. Gioco con le passioni, del resto, lo so, non mi nascondo certo dietro a un dito (o dietro alla luna). Enfatizzo, porto agli estremi, esattamente come chi vive di passioni, le insegue, se ne lascia struggere, devastare.

Ora, oggi mi trovo a dover parlare di una artista nei confronti dei quali provo sentimenti molto precisi: amore puro.

Una artista che, semmai dovessi provare il sentimento dell’invidia, cosa che non succede, invidierei profondamente, come potrebbe capitarmi verso pochissimi altri artisti, molti dei quali, per altro, già morti, e quindi invidiabili.

Parlo di Amanda Palmer, non è un segreto, il suo nome campeggia nel titolo, una sua foto campeggia a decoro di questo capitolo del mio diario.

Io amo Amanda Palmer, anche questo non è un segreto, e la amo per questo suo essere in maniera così totalizzante Amanda Palmer, in ogni singolo istante della sua vita, personale come artistica. Per questo suo essere riuscita, impresa sulla carta difficilissima e non riuscita ai più, tanto donna, sessuata, passionale, costantemente nuda e mai spogliata, quanto artista, sessuata, a sua volta, portatrice di passioni, costantemente nuda e mai spogliata.

Per questo suo riuscire a fare di ogni suo palpito una parte di una grande opera d’arte che ha per titolo il suo nome e il suo cognome.

Fatto, per altro, che rende vano lo sproloquiare di chi, in genere in momenti in cui l’artista X si trova a fare i conti con comportamenti riprovevoli, magari anche illegali, tenda a distinguere tra persona e personaggio, o peggio ancora, tra persona e artista.

Non esiste differenza tra persona e artista.

Non potrebbe esistere.

Non deve esistere.

Perché, semmai, è delle opere che ci si dovrebbe occupare, non dell’artista, volendo proprio sottilizzare. A meno che, è il caso di Amanda Palmer, l’artista, la persona, la donna, non coincida con l’opera. Meglio ancora, la vita dell’artista non sia parte fondante della poetica dell’artista.

Non è questa la sede per raccontarla, la vita e l’opera di Amanda Palmer. Ne ho parlato a lungo, ne ho scritto, ci ho anche costruito un racconto lungo/piece teatrale da qualche tempo arrivato in libreria per i tipi di Vydia (il titolo è “I piedi nudi di Amanda Palmer, i capelli rossi di Elizabeth Siddall”).

Oggi però son qui a scrivere di Amanda Palmer, a cantare il mio amore incondizionato per Amanda Palmer, partendo dal suo ultimo album, uscito giusto un paio di anni fa, There Will Be No Intermission, per poi passare a altro.

There Will Be No Intermission, quindi, titolo quantomai significativo, alla luce di quanto detto sopra, converrete con me.

Ora, ho parlato di sentimenti.

Di come io non sia uso parlare di sentimenti.

Di come, semmai io sia uso parlarne parlando di musica, e nel farlo, nel parlare di sentimenti parlando di musica, ho parlato del mio amore incondizionato per Amanda Palmer.

Mettiamo un secondo da parte Amanda Palmer.

Parliamo d’amore.

L’amore, in tutte le sue sfumature, si tratti di innamoramento, di passione, di infatuazione, di affetto, non sta certo a me qui affrontare tutto questo, prevede, esperienza che suppongo chiunque sia stato in qualche modo innamorato ben conosce, il fatto che si tenda a assolutizzare l’oggetto del nostro amore. Lo si guarda come non ci fosse altro. E se ne guarda solo gli aspetti più che positivi. Vi sarà capitato di incontrare due persone dall’aspetto poco gradevole, magari passeggiare mano nella mano, e pensare, magari non troppo generosamente, “l’amore è proprio cieco”.

Ecco, questa cosa qui. Il vedere il bello dove magari il bello non è. Il ridere di battute che non fanno ridere. Soffrire per situazioni che, viste dall’esterno, ci indurrebbero allo scherno, ma che se riguardano l’oggetto del nostro amore ci amareggiano, ci portano a un livello di empatia che fatichiamo a riconoscere come nostro. Insomma, ci siamo capiti.

L’amore non è cieco, ovviamente, ma vede quel che vuole vedere, o può vedere. Non vede il resto, o finge di non vederlo.

Qualcuno, a questo punto, potrebbe pensare che io stia prendendo le distanze da quel che Amanda Palmer ha dato alle stampe, e che questo mio parlare del miracolo dell’amore, di questa forma di “censura emotiva” che l’amore applica, amorevolmente, altro non sia che un mettere le mani avanti. Così non è.

Affatto.

È, invece, che ascoltando le dieci canzoni, più dieci interludi brevi che Amanda Palmer ha dato alle stampe, con brani che in un paio di casi, The Ride e A Mother’s Confession, per voce e piano, superano i dieci minuti, e quasi sempre indugiano ben oltre i cinque, sei minuti, sempre con accompagnamenti scarnissimi, in solo, piano e voce, ukulele e voce, poco altro, beh, ascoltando le dieci canzoni, più dieci interludi brevi che Amanda Palmer ha dato alle stampe non posso che cadere ancora di più in amore per Amanda Palmer.

Perdermi definitivamente nella tragicità della sua voce, in questi testi così epici e violenti, profondi e spudorati, del tutto privi di ogni pudore, appunto, sotto tutti i punti di vista. Perdermi nell’enfasi, sì, la mia stessa enfasi, con la quale Amanda Palmer ci racconta la sua vita, la pone al centro della sua poetica, lei che è Amanda Palmer, la donna nuda con la spada in mano che campeggia in copertina, i peli del monte di Venere ben esposti, i seni altrettanto affilati di quella lama che tanto richiama alla mente San Michele Arcangelo, o al limite San Giorgio che ammazza il drago. Lei che il drago, in effetti, in queste dieci canzoni, l’ha affrontato, che si trattasse della morte, della malattia, dell’aborto, anzi, degli aborti, delle assenze trovate e ritrovate, del lutto elaborato a fatica, dell’amore come sostegno e ragion d’essere, della carne ferita e pulsante, comunque viva anche di fronte alla morte. Ascoltate canzoni come Voicmail for Jill, Machete, Drowing In The Sound, la conclusiva Death Thing, ma ascoltatele proprio tutte, dalla prima all’ultima, e provate a non innamorarvi di lei. E provate, se ce la fate, a non essere orgogliosi di quel suo stare lì, nuda su un piedistallo di legno, una spada in mano, la figa e le tette esposte allo sguardo anche di passanti distratti, bigotti, incapaci di capire.

There Will Be No Intermission è un album difficile, molto meno diretto del precedente Theatre Is Evil, fatto con The Great Theft Orchestra. Ma è un album bellissimo. Sconvolgente. Emotivamente tempestoso. Un album che vi farà perdere la testa per Amanda Palmer, non lo aveste ancora ascoltato, con colpevole ritardo, lei, la sua imperfezione, la sua spudoratezza, il suo essere una fottuta rockstar che ha amato fottutamente una fottuta rockstar come Neil Gaiman, nome che avevo deciso di tenere fuori da questo articolo perché non sia mai che si pensi a lei come alla ex moglie di, anche se Amanda Palmer è Amanda Palmer e quindi è anche la moglie di.

Scrivo di musica. 

Non solo, ma prevalentemente di musica.

Non scrivo di sentimenti.

Ma amo Amanda Palmer, e se un po’ vi fidate di me non potrete che amarla anche voi.

Anche perché, mi ricollego a quanto detto qualche giorno fa, Amanda Palmer ha fatto del suo essere provocatoria e provocatrice parte integrante del suo essere arista, e del suo essere incarnazione di bellezza in arte e in corpo.

Esistono artisti che fanno del gesto provocatorio la propria poetica, si è detto. Artisti, cioè, che legano a uno specifico evento il proprio nome, a doppio giro.

Poi ci sono artisti quali Amanda Palmer che hanno fatto talmente tanto della provocazione la propria cifra da renderla quasi naturale.

Guardando infatti alla vita e alla vita artistica dell’ex front woman delle Dresden Dolls risulta davvero difficile fermare una singola immagine che possa apparire in una ipotetica carrellata di gesti provocatori, tanti e tali sono i gesti di tale fatta da lei messi in fila.

Aver reso una hit un brano dedicato ai peli pubici, per dire, potrebbe essere un ottimo punto di partenza, hit ancora più strampalata, la sua Map of Tasmania, per il particolare di essere un brano dance basato sull’ukulele. L’aver constato che l’isola dell’Oceania avesse in effetti la medesima conformazione del Monte di Venere non sembra sufficiente a stemperare lo stupore per aver mosso il piede e la testa in una canzone che era una sorta di inno alla non depilazione imperante. Il video nel quale si susseguivano sequenze assai divertenti di immagini, da una costruzione fatta coi Lego a una riproduzione dell’Urlo di Munch, atte a coprire proprio il pube ha reso il tutto ancora più bizzarro. Del resto, parlando di video, l’elenco delle provocazioni di Amanda Palmer, sarebbero forse troppe, dal suo cantare nuda, i medesimi peli pubici, stavolta ben in evidenza, dentro una vasca per il featuring fatto ai Flaming Lips con The First Time I Saw Your Face al suo rotolarsi nel letto con la pornostar StoyaDoll con Do It With A Rockstar, passando per il suo corpo, sempre esibito senza il minimo pudore, nel quale i peli, sempre loro, si mischiano senza soluzione di continuità a scritte fatte in bella grafia per Want It Back.

Colei che ha sbancato il record di soldi raccolti con una campagna di crowdfunding forte dello slogan Tits and Songs, uno dei regali della medesima campagna era infatti una foto delle sue già abbondantemente presenti in rete tette, con il record festeggiato poi in giro per il mondo in eventi durante i quali i suoi raiser, coloro cioè che hanno sostenuto il suo progetto, portandole in cassa oltre un milione e duecentomila dollari, potevano firmarle il corpo, lei nuda al centro del locale, sembra proprio non conoscere la parola pudore, e viva Dio.

Volendo scegliere solo un paio di immagini a supporto di questa tesi, ci si troverebbe davvero con l’imbarazzo, nostro, non certo suo, della scelta. Da quando, per la presentazione dell’attesissimo seguito de I racconti dell’ancella della scrittrice canadese Margaret Atwood, è apparsa in libreria con l’ex marito, allora ancora marito e basta, Neil Gaiman vestita di niente, le foto di lei al fianco dell’anziana scrittrice hanno ovviamente fatto il giro del mondo, a quando, sempre a fianco del marito, si è sfilata le mutande durante un red carpet per la presentazione di uno dei film tratti da un’opera del famoso fumettista e romanziere.

Ma forse la prova plastica della sua cifra ce l’ha regalata proprio con la su menzionata copertina del suo ultimo album di studio, There Will Be No Intermission, dove come vi ho detto campeggia sopra un cippo, come fosse una statua, la spada di un San Michele Arcangelo impugnata nell’atto di infilzare un diavolo, i peli pubici in bell’evidenza, negli anni non ha cambiato idea riguardo il non depilarsi seguendo la moda, nuda come mamma l’ha fatta e natura l’ha conservata.

Preso quindi atto che sì, in effetti Amanda Palmer appare spesso nuda, sui social, dentro i video che accompagnano le sue canzoni, sulle copertine dei suoi album, non desterà meraviglia scoprire che anche il gesto scelto a fermo immagine di questo suo essere costantemente impegnata a provocare i benpensanti, di più, il suo risoluto intento di abbattere gli stereotipi imperanti di femminilità che occupano militarmente lo show business, Amanda non è giovanissima, non ha un fisico da modella, il suo opporsi alla depilazione è evidente non solo e non tanto nel pube, ma anche sulle gambe, fatto che non manca di sconcertare chi di fronte a quelle foto si trova, è qualcosa che col nudo ha a che fare.

Col nudo e con la musica.

Perché a fronte di quanto letto fin qui, va sottolineato con un evidenziatore dalle sfumature particolarmente accese, Amanda Palmer è una grande artista, una polistrumentista eclettica, capace di passare dal fare concerti accompagnata solo con il suo fido ukulele al comporre per piano e orchestra, con tutto quello che sta nel mezzo, e il suo essere per certi versi oltraggiosa non solo non scalfisce di un minimo il suo indiscusso valore artistico, ma anzi lo rende ancora più potente, perché forma e sostanza in lei trovano entrambe asilo, sedimentano e fioriscono.

Succede che Amanda Palmer, anno del Signore 2013, proprio per questo suo essere giustamente considerata una grande artista, partecipi al Festival di Glastonsbury, forse il più importante festival rock al mondo. Il suo nome non è tra quello degli headliner, ma è comunque lì, su quel palco. Durante la sua indiavolata, è il caso di dirlo, esibizione Amanda ha un piccolo incidente di percorso. Niente di che, verrebbe da dire, in virtù di quanto raccontato sopra. E sicuramente niente che sia frutto di malizia o premeditazione, Amanda Palmer non è tipo di fare le cose a metà. Succede, in pratica, che un capezzolo di Amanda fa capolino da sotto una camicetta bianca lasciata aperta, il reggiseno trasparente nero nulla può, in tal senso. Ripeto, ordinaria amministrazione, trattandosi di lei. Ma l’indomani il Daily Mail, quotidiano inglese, decide di soffermarsi non tanto sul suo essere lì, su quel palco, il suo essere artista degna di finire nella line-up di un Festival tanto importante, quanto proprio su quell’incidente, chiamiamolo così, per altro dando seguito proprio a una mentalità non proprio progressista. Lo fa con un articolo dal titolo “Making a boob of herself, Amanda Palmer’s breast escapes her bra as she performs on stage at Glastonbury”. “Making a boob of herself”, non esattamente toccare di fioretto.

La cosa non sfugge ovviamente alla diretta interessata, tipo da non passare sopra agli attacchi con nonchalance. La cose che più la offende non è tanto aver evidenziato quel passaggio dello show, decisamente minore e insignificante, ma essersi concentrati solo su quello.

Come decide quindi di reagire?

Semplice, alla sua maniera, con un gesto provocatorio e artistico, forma e sostanza, siamo sempre lì.

Pochi giorni dopo, quindi, in occasione di un suo concerto alla Roadhouse Londra, decide di rendere pan per focaccia a quel fogliaccio, dedicandogli una lettera, sotto forma di canzone inedita. La canzone si intitola Letter to the Daily Mail, e recita così:

“Caro Daily Mail, sono venuta a conoscenza recentemente del fatto che la mia esibizione al festival di Glastonbury è stata da voi gentilmente menzionata.
Lì sul palco facevo una serie di cose tra le quali persino cantare canzoni (come di solito si fa.)

Ma questo avete deciso di tralasciarlo e invece avete fatto un servizio speciale sulla mia tetta.

Caro Daily Mail, esiste una cosa che si chiama motore di ricerca: usatelo!
Se aveste cercato prima le mie tette su Google, avreste scoperto che le vostre foto non sono certo un’esclusiva.

Inoltre affermate che il seno mi è scappato dal reggiseno come un ladro in fuga.
Come fate a sapere che non stava tentando di prendere un po’ del vostro RARO sole inglese?
Caro Daily Mail, è così triste quello che fate voi tabloid.

Il vostro sforzo per svilire l’immagine delle donne rovina tutta la nostra specie umana.
Ma un fogliaccio è un fogliaccio e lungi da me andare in giro a censurare qualcuno!
OH NO.! sento che adesso tutto il corpo mi sta scappando dal kimono.!
Caro daily mail, massa di deficienti misogini, sono stanca di pance ingrassate dalla gravidanza, sbirciatine alla figa, pieghe di carne nei jeans stretti.
Dove sono i CAZZI che fanno notizia?

Quando Iggy, Jagger o Bowie vanno in giro in topless non fa notizia.
Bla bla bla femminista bla bla bla solite stronzate sul genere bla bla bla
Oh mio dio!

Un capezzolo!

Caro Daily Mail, non farete mai nessun articolo su questa serata, lo so, perché vi ho chiamato in causa direttamente e ora per voi non ci sarà più gusto ad attaccarmi, ma grazie ad internet la gente in tutto il mondo può godersi questo discorso in sintonia con un gruppo di spettatori qui a Londra che non si bevono la propaganda come la vostra.
Anche se ci sono milioni di persone che accettano il divieto culturale come lo ponete voi, ce ne sono moltissime altre che sono perfettamente disposte a vedere i seni nel loro habitat naturale.

Resto in trepidante attesa dei vostri colti servizi giornalistici sulle prossime date del tour.
Caro Daily Mail, vaffanculo!”

La cosa, in sé, potrebbe non essere poi così provocatoria, ci sono generi musicali, penso al rap, che ha fatto del botta e risposta una parte portante del proprio immaginario, al punto da essere stata in qualche modo canonizzata.

Ma quello di Amanda Palmer non è un semplice dissing, o se lo vogliamo vedere così, è un dissing di quelli che chiudono definitivamente la partita, Eminem che devasta Everlast con due rime fatte come si deve, o un colpo di Uzi sparato dalla macchina ferma al fianco al semaforo, a Las Vegas. Perché nel bel mezzo della canzone, in rete potete serenamente trovare il video del momento in questione, Amanda, che per l’occasione indossa un kimono color crema, decide di affondare il colpo mortale, con gesto plastico se lo slaccia, togliendo la cintura e se lo sfila, sempre continuando a suonare il piano elettrico col quale si accompagna, rimanendo nuda madre, come niente fosse.

Vi siete scandalizzati per un capezzolo, amici giornalisti, eccovi servito il menu completo, peli pubici, ovviamente, in bell’evidenza, lì scuri sulla pelle color latte. La rivoluzione, a volte, parte da quello che la natura ci ha messo a portata di mano, sotto i nostri occhi.