Triste storia degli insulti di Gozzini alla Meloni e del silenzio fragoroso delle nostre suffragette

Vacca? Scrofa? L’attacco dalle frequenze di Controradio, una radio con 46 anni di storia a cui non vanno colpe


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Il professore molto radical e poco chic va di cesello su Giorgia Meloni: “Come la devo chiamare? Vacca? Scrofa? Rana dalla bocca larga?”. Un crescendo rossiniano alla diretta organizzata dal direttore di Controradio, Raffaele Palumbo che ci va di mezzo e invece è sì uomo di parte, ma alieno da certe bassezze. Ma chi è questo Giovanni Gozzini, docente a Siena? E chi è il Giorgio Van Straten con cui fa il teatrino? Sono la riccanza fiorentina di sinistra, i figli d’arte targati PD messi dal partito gramscianamente nei posti chiave; per qualcuno spediti in avanguardia, la Meloni impunemente insultata per farle capire che è sola, è isolata, la sua opposizione non conta e dunque Draghi potendo fare tutto, lo faccia. Zdanoviani come sempre, i sedicenti competenti che leggono, che si palleggiano cariche e incarichi, docenze e Gabinetto Viesseux, l’arroganza di classe con cui irridere i pesciaroli, i verdurai. Stavolta però hanno esagerato, si è mosso nientemeno che il Capo dello Stato, Mattarella che forse avrà voluto metterci una pezza. Ma è da escludere che il Gozzini patisca punizioni, l’ateneo senese è roccaforte del suo partito e, come si dice, cane non mangia cane. Del resto non sarebbe giusto, le epurazioni sono roba da stalinisti, non da persone per bene.
In realtà, questo Gozzini non è nuovo a sparate del genere, come sanno bene gli ascoltatori: uno convinto di poter fare quello che vuole, che se lo chiami in una radio pensa che la radio sia sua e di fare un grande onore a chi lo chiama. Controradio non parla ma l’imbarazzo è palese, Palumbo ha mandato una nota, un po’ maldestra, all’Ansa a tempo scaduto anziché dissociarsi subito in nome dell’emittente: diciamo che se l’è giocata male, forse neanche lui si capacitava, la diretta streaming a volte fa brutti scherzi. Ma sarebbero tanti, se non tutti, a provare insofferenza e con ragione. Povera Controradio: è una delle voci storiche dell’antagonismo toscano, ma il tempo cambia tutto e la voce è maturata: offre una programmazione musicale di assoluto livello, una copertura informativa di prim’ordine, schierata, certo, ma chi non lo è? Costituisce poi un punto di riferimento per le iniziative artistiche in città e su regione, è costantemente impegnata sui temi cari alla sinistra, primo fra tutti proprio la tutela delle donne, sulla quale lo stesso Palumbo si è speso senza risparmio; e poi arriva il professore esaltato e combina questo puttanaio epocale.
Non è facile la vita di Controradio, deve reggersi da sola, deve fare i conti con un pubblico a volte forsennato quanto naif, poco disposto all’attendismo felpato piddino, se uno dei suoi nomi di punta, Domenico Guarino, si esprime in termini critici contro il lockdown inutile, passato senza colpo ferire da Conte a Draghi, anziché apprezzarne l’onestà intellettuale lo crocifiggono: difendono uno della finanza globale, un banchiere, un regime antilibertario e non si curano delle contraddizioni.
Anche l’intellettuale comunista Gozzini difende il superbanchiere, non gli pare ammissibile che qualcuno osi criticarlo, men che meno in Parlamento; ha un’idea della democrazia che ricorda quella della Terza Internazionale, il Comintern che per missione aveva quella di coprir d’infamie il riformismo socialdemocratico. Giorgia Meloni non è socialdemocratica e magari neppure riformista, guida un partito a forte vocazione centralista e statalista, ma, normalizzato Salvini, è rimasta l’unica a prendersi volgarità e minacce. Come quelle del brigatista Raimondo Etro, che ogni tanto prorompe in commenti osceni e non si fa negare un qual certo nostalgismo sul proustiano militante. Sulla leader di Fratelli d’Italia, manco a dirlo, un silenzio fragoroso dalle suffragette che si rotolano in terra appena sentono criticare il vestito della Teresa Bellanova e la cronista di gossip Lucarelli non ha trovato di meglio che attaccare Salvini il quale esprimeva solidarietà, tardiva, alla sempre meno alleata; un modo subdolo per difendere la sparata del Gozzini.
Ma altri non fanno meglio, il massimo che si sente dire è che è stata una ingenuità, un errore tattico, “in un momento come questo…”. Siamo sempre ai compagni che sbagliano, ma neanche tanto. E qui si staglia il paradosso di una sinistra in totale marasma, la cui crisi identitaria supera perfino quella della destra trasformista e opportunista: lacerati, gli eredi del Partito Comunista, tra massimalismo retrologico e suggestioni post moderniste, in perenne orfananza della rivoluzione dura e pura e insieme figli del postliberismo monetario tanto odiato a parole; sospesi tra i vecchi tic, l’aggressione verbale, il disprezzo classista, l’arroganza di potere e le nuove istanze del politicamente corretto che tutto vorrebbe tutelare, ma a colpi di maglio. Per non sbagliare, dicono: ma la Meloni non è una donna e comunque è una fascista. Con il che si torna fatalmente ai vecchi slogan, “accoppare un fascio non è reato”, alla delegittimazione genetica, nel silenzio delle suffragette che non sanno come uscirne. Controradio non ha colpa, è una emittente che fa del suo meglio, è cambiata come deve cambiare, come non può non cambiare una radio con 46 anni di storia, e storia italiana, perennemente isterica e centrifugata. Ma i suoi ascoltatori sono cambiati più di lei e non meglio di lei; come minimo sono schizoidi, confusi, in perenne aporia. Anche così si spiegano le scivolate dei dinosauri del cattocomunismo integralista, che, a questo punto, se non dai feudi baronali potrebbero anche venire rimossi da un ruolo di opinionista che non meritano, che suonerebbe eccessivo perfino al mercato del pesce.